Abel y Caín se encontraron después de la muerte de Abel. Caminaban por el desierto y se reconocieron desde lejos, porque los dos eran muy altos. Los hermanos se sentaron en la tierra, hicieron un fuego y comieron. Guardaban silencio, a la manera de la gente cansada cuando declina el día. En el cielo asomaba alguna estrella, que aún no había recibido su nombre. A la luz de las llamas, Caín advirtió en la frente de Abel la marca de la piedra y dejó caer el pan que estaba por llevarse a la boca y pidió que le fuera perdonado su crimen.
Abel contestó:
— ¿Tú me has matado o yo te he matado? Ya no recuerdo; aquí estamos juntos como antes.
— Ahora sé que en verdad me has perdonado — dijo Caín —, porque olvidar es perdonar. Yo trataré también de olvidar.
Abel dijo despacio:
— Así es. Mientras dura el remordimiento dura la culpa.
(Abele e Caino s’incontrarono dopo la morte di Abele. Camminavano nel deserto e si riconobbero da lontano, perché erano ambedue molto alti. I fratelli sedettero in terra, accesero un fuoco e mangiarono. Tacevano, come fa la gente stanca quando declina il giorno. Nel cielo spuntava qualche stella, che non aveva ancora ricevuto il suo nome. Alla luce delle fiamme, Caino notò sulla fronte di Abele il segno della pietra e lasciando cadere il pane che stava per portare alla bocca chiese che gli fosse perdonato il suo delitto. Abele rispose: “Tu hai ucciso me, o io ho ucciso te? Non ricordo più: stiamo qui insieme come prima”. “Ora so che mi hai perdonato davvero” disse Caino “perché dimenticare è perdonare. Anch’io cercherò di scordare”. Abele disse lentamente: “È così. Finché dura il rimorso dura la colpa”.)
Domandiamoci: il perdono è grazia o giustizia?
La storia di Caino e Abele è narrata nella Bibbia, nel quarto capitolo della Genesi. Il nome Caino deriva dal verbo “qanah”, che significa “acquistare”: è interessante notare che i discendenti di Caino saranno tutti artigiani, costruttori, inventori, ecc. Abele invece significa “vapore, nulla”. Lui cessa di esistere, il suo destino è di “evaporarsi” o annullarsi (ma vedremo qualche altro dettaglio che ci dimostra che non sarà completamente cancellato). Il fratello, Caino, invece ha una lunga e produttiva vita con una prole anche esemplare.
Passiamo un attimo alla Treccani, come esempio di una esposizione più impersonale. Cito ciò che va sotto il titolo “La storia di Caino e Abele”: “Nel racconto della Bibbia, Caino e Abele sono i primi due figli nati da Adamo ed Eva dopo la cacciata dal giardino dell’Eden. Caino pratica l’agricoltura e Abele la pastorizia: entrambi offrono a Dio in sacrificio i prodotti del loro lavoro, ma solo le offerte di Abele vengono accettate. La preferenza accordata da Dio ad Abele suscita la gelosia e l’ira di Caino, che porta Abele nei campi e lo uccide. Dio scopre il delitto di Caino e lo maledice, cacciandolo dalla terra che ha macchiato del sangue di suo fratello, ma ponendo su di lui ‘un segno’ che lo protegga dalla vendetta. In seguito Caino si sposerà, avrà un figlio e fonderà la prima città: tra i suoi discendenti vi saranno l’inventore della musica (Iubal) e l’inventore della lavorazione dei metalli (Tubalcain)”. Una versione questa abbastanza risaputa che riconosciamo subito. Ma è una lettura facile, o semplicistica, in cui c’è la maledizione divina. E così Caino è il Male, e Abele il Bene: carnefice e vittima.
Impossibile non passare alla Bibbia, ai testi sacri e originali, che trovo nella mia biblioteca: The New Oxford Annotated Bible with the Apocrypha (Oxford University Press, New York 1977) e The Jerusalem Bible, Doubleday and Company (Inc, Garden City, New York 1968). Le parole di Dio dopo l’uccisione, che chiamerò il martirio di Abele, sono parole prima di sorpresa: “Cosa hai fatto?”, poi di rimprovero: “Ascolta la voce del sangue di tuo fratello che si alza in pianto verso di me dalla terra”. Poi di castigo: “Sei condannato a essere scacciato da questa terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello sparso dalle tue mani”. Nessuna maledizione in queste pagine.
Vediamo invece il perdono divino. Dopo la giustizia fatta che lo caccia da quella che fu la sua terra da coltivare, avviene il momento della grazia: Caino si lamenta che il suo castigo è troppo grande, perché sarà un vagabondo e tutti vorranno ucciderlo. E allora Yahweh lo salva da tale destino con un misterioso dono: un segno, ci dice la narrazione biblica, perché non venga ucciso.
Il personaggio creato da Borges è colpito dal rimorso nello scorgere sulla fronte di Abele un altro segno, quello fatto da lui con la pietra che ha causato la sua morte. Possiamo allora chiederci se il segno, quello visibile, che Borges pone sulla fronte di Abele abbia lo stesso valore del segno invisibile posto da Dio su Caino.
Sembrerebbe di sì se ascoltiamo la risposta di Abele nel racconto borgesiano: Sei tu che ha ucciso me o sono stato io a uccidere te? Non lo ricordo più. I fratelli, entrambi segnati, si riconoscono prima perché, questo autore ci dice, sono alti uguali, e poi perché l’atto della violenza è stato dimenticato: Stiamo qui insieme come prima, dice Abele. Li vediamo in un deserto, accendere il fuoco e prepararsi a mangiare uno a fianco dell’altro, nel silenzio del riposo come chi ha finito una giornata lavorativa. È il segno sulla fronte di Abele a fare scattare la memoria. E con essa la colpa di Caino.
Ci domandiamo allora se questo atto di violenza è accaduto perché Abele doveva morire: ricordiamo che il suo nome vuol dire “vapore” e “nulla”. Il suo destino è molto diverso da quello del fratello, che sarà prolifico e vedremo fino a che punto, mentre Abele sembra dover scomparire; ma scopriremo che anche Abele servirà ad un altro e alto scopo.
Il segno divino che vuole proteggere, avviene dopo la punizione — che pare a noi tutti essere la giustizia — perché Caino non potrà più coltivare la terra dove è accaduto il fratricidio, ma è destinato a creare una cultura non nomadica, sedentaria, e a procreare figli, e figli dei figli, fra cui uno costruirà una città, un altro inventerà la lira e il flauto, e un altro sarà inventore dei metalli: il bronzo e il ferro; è allora la grazia questa, concessa da quel segno protettivo? Inoltre, la narrazione biblica ci dice che per sostituire Abele, Dio fece un dono ad Adamo e a Eva, a cui nacque Seth, per riempire il vuoto lasciato da Abele, che sarà colui che invocherà per primo il nome di Dio: Yahweh. Ecco che la morte di Abele serve, o si riscatta, con questo importantissimo momento: il momento della salvazione.
Torniamo a Borges. Lui ha visto nella sua lettura della narrazione biblica l’uguaglianza dei fratelli, che è quella umana di chi si rivela più fragile perché trascurato, e uccide, e chi appare più forte perché amato, e viene ucciso. Abbiamo notato che i fratelli non solo si riconoscono per l’uguaglianza fisica, ma perché poi procedono con gli stessi gesti e le stesse azioni, come se nulla di grave fosse successo.
Possiamo osservare che nel Dio biblico e in Borges avviene lo stesso straordinario risultato: i fratelli sono “segnati” dal destino e graziati nel perdono che appartiene prima a Dio, e poi agli esseri umani.
Un altro dettaglio non minimo nel racconto borgesiano è il passaggio di Caino in un luogo terrestre, il deserto, dove la morte appare essere inesistente: i fratelli si riconobbero, sedettero in terra, accesero un fuoco e mangiarono. Tacevano come la gente stanca; nel cielo spuntava qualche stella che non aveva ancora ricevuto un nome… Tutto è come prima, dirà l’Abele di Borges. Allora non c’è stata violenza, né condanna, né morte?
Nell’incertezza di Abele, c’è la certezza della possibilità che anche lui avrebbe potuto uccidere, e con lui tutti noi. Il bisogno del perdono è nel cuore tormentato di chi crede, o sa di aver commesso il danno che porta all’auto-dannazione. Caino verrà cacciato dallo sguardo di Dio, non dalla vita e neanche dalla prosperità. Il perdono finale tornerà a nascere nelle viscere della prima madre, Eva, e con quel figlio si tornerà ad “acquistare” (ricordiamo che questo è il nome di Caino) lo sguardo divino, si ritroverà Dio.
Il mistero del perdono Borges lo rivela alla fine, quando ci fa capire che è Caino che deve perdonarsi per poi poter dimenticare. L’oblio è il perdono che Abele conosce: Sì, perché finché dura il rimorso dura la colpa. Questa sentenziosa frase finale viene detta “despacio”, piano o sottovoce: la dice a noi lettori. Il rimorso è un mordersi dentro, un remordimiento, un’autopunizione che deve essere esorcizzata.
Ma allora Abele, che ci sussurra questa verità, e sa chi è stato il colpevole, è per il bene del fratello che gli dice che non ricorda chi sia stato il fratricida? E’ con noi lettori, invece, che fa un ragionamento conclusivo di espiazione verso chiunque abbia commesso un atto atroce, perché al di là c’è il perdono? Per dirci che possiamo essere tutti fratricidi e colpevoli di violenze? O è questo il profondo e più vero perdono, che il colpevole perdoni se stesso, perché è una sfida maggiore che perdonare l’altro? Perché così lo vuole Dio, il quale di fronte alla disperazione di Caino si commuove e lo grazia, con quel segno invisibile, lo perdona perché la specie umana continui nel suo cammino, anche se è un cammino tortuoso e contorto. E la sostituzione di Abele con Seth, che sarà il primo a ringraziare Dio, manifesta il destino di Abele compiuto con la sua morte? Lui, vapore e nulla, apre lo spazio nel tempo per l’apparizione di colui che tornerà a riconoscere Dio, perché l’umanità sia perdonata? E noi, infine, dove ci collochiamo? Con chi ci identifichiamo, con Caino, con Abele o con Seth? Come viviamo il perdono, come giustizia o come grazia? Giustizia di Dio o dell’uomo? Grazia umana o divina?
Questo brevissimo racconto di Borges, insieme a quelli originali biblici — perché questa di Borges è una traduzione di altre traduzioni di traduzioni di traduzioni bibliche, fatte attraverso i secoli e i millenni — ci offre minime e profonde narrative che ci pongono forse solo domande, e non ci offrono, forse, risposte. Le risposte le incontriamo nella nostra ricerca personale e individuale. Ciascuno di noi affronterà la violenza e deciderà se il perdono avviene come giustizia o grazia, se il male sarà Caino e il bene Abele, o viceversa, o nessuno dei due: perché forse il Male, come il Bene, convivono nel nostro essere. E infine il perdono è l’obbligo divino.