“Mediterraneo, mare di cristallo” è il taccuino di un viaggio marittimo-letterario realmente compiuto dall’autore grazie a una borsa di studio della fondazione Marc de Montalembert di Parigi (ndr).
Sète, alfa e omega
Quando sono arrivato a Sète ho percepito subito il sapore dell’aria salmastra e dell’acqua dolce, mescolata a quella salata.
Uscito dalla stazione, c’è un ponte girevole che solca il fiume: l’acqua è torbida, ai suoi lati ci sono barchette, un anziano pescatore verifica che la sua canna da pesca non riceva un sussulto di un pesce che abbocchi.
Chiedo dove si trovi l’hotel P.: oltre il ponte girevole, la terza via a sinistra… Arrivo, salgo le scale, e mi accoglie una signora molto gentile. Qui di turisti non se ne vedono molti, almeno in questa stagione. Sète è una cittadina ancora genuina, dedita al lavoro sul mare. La signora mi riempie di parole, di chiavi, di cartine e mappe. Le dico che sono appena arrivato, che sono in cerca del Cimitero Marino, che insegno italiano e volevo vedere questo luogo cantato da Valéry. Mi risponde che non è lontano.
Il mattino seguente mi sveglio e mi attende un caffè francese così poco noir… Metto sul tavolo la cartina di Sète per pianificare la mia peregrinazione. Ad un certo punto vedo una macchia verde, alcuni alberi stilizzati; ma no, sono croci, attorniate da un muro. Di fianco il colore azzurro, che rappresenta il Mediterraneo, un mare di carta, che si estende, fino a confinare con l’orlo della cartina per incontrarsi con il mio pacchetto di sigarette, vuoto e stropicciato. Quel mare di croci immerse nel verde deve essere il Cimitero Marino, fino ad allora per me solo un titolo e un vagheggiamento.
Così, mi incammino verso il centro di Sète per raggiungere il Cimitero Marino.
Intanto sfoglio, per ingannare il tempo, e soprattutto me stesso, il poemetto in un’edizione con testo francese a fronte, e di formato leggerissimo come le sue parole: “Si leva il vento!…E di nuovo, la vita!/ L’aria immensa apre e richiude il mio libro,/ L’onda il suo fiotto avventa dalle rocce!/ Volate via, pagine abbacinate!/ Rompete onde! Rompete acque inebriate/ Quel tetto quieto ove beccavan fiocchi!“
Le parole di Valery volano via nel cielo estivo per fondersi nelle onde del Mediterraneo, trasportate dal vento diafano della poesia, che soffia, impetuosamente o meno (dipende dal cuore di ciascuno), ogni volta che si apre un libro, si volta una pagina.
Paul Valéry nacque a Cette (oggi Sète), da madre italiana e padre corso nel 1871, e trascorse l’infanzia parlando italiano e francese, e respirando l’odore salmastro dell’aria imbevuta di sale marino e di aroma fiumano.
Me lo immagino correre, ogni giorno, a assaporare i silenzi che di solito dominano i cimiteri, e respirare la brezza fresca del mare che fronteggia il Cimitero stesso.
Non ho ancora visto una foto di Paul Valéry, poeta ufficiale di Francia, se non in una litografia di Picasso del 1920, in cui un tremulo chiaroscuro contorna lo sguardo altero.
Il viale è solitario, deserto. Oggi è giorno di mercato, per cui tutte le signore sono andate dalla parte opposta alla mia, con carrelli e bambini al seguito, nella piazza principale.
Seguo ancora le indicazioni per il Cimitero Marino, laddove “Stan bene i morti al caldo in questa terra/ Che ne asciuga il mistero e in sé li serra./ Meriggio in alto, senza movimento/ In sé si pensa e a se stesso conviene…/ Testa completa e perfetto diadema,/ Io sono in te il segreto mutamento“.
La desolazione del viale e l’abbandono delle case che lo fiancheggiano rappresentano il corridoio verso la morte che si traveste da vita, e la vita che si trucca da morte. Nel Cimitero, cinto da un muro alto e ricoperto da fronde verdeggianti, il Silenzio mi ha avvolto, come la nebbia di un mattino autunnale, scialbo ricordo di fronte alla nitidezza della luce del mare.
Nel poemetto, Paul Valéry parla di marinai, che hanno vissuto lungo questo mare, e ora sono qui raccolti, sotto la terra, per stare di nuovo a guardare il volto acqueo del Mediterraneo, in attesa del giorno del Giudizio. Al di là di quella massa azzurra che brulica di vita e di speranze spezzate, c’è la luce del sole che consola e rinforza: “Quel tetto quieto corso da colombe/ Palpita di tra i pini, tra le tombe;/ Meriggio il giusto vi compone in fiamma/ Il mare, il mare ad ogni ora primiero!/ O ricompensa, a chiusa di un pensiero,/ Un lungo sguardo alla divina calma!“
Quel mare è la vita che soffia, silenziosamente, tra le tombe, ombreggiate da pini e da cipressi: “O mio silenzio!… Edificio nell’anima“.
Quando si arriva in un luogo così suggestivo, dove l’Alfa e la Omega si fondono evangelicamente, come per incanto mistico, si è in un altro mondo: si sale verso un impalpabile faro, che illumina il mare, e guida i cuori dei naviganti; esso offre la vista sulla vastità acquea del Mediterraneo e sulle profondità dell’anima umana: “Tempio del Tempo, in un sospir riassunto,/ salgo e m’abituo a questo puro punto,/ Cinto dal mio marin sguardo lontano;/ E come a un dio l’offerta mia suprema,/ Lo scintillio sereno dissemina/ Sopra l’altura un disdegno sovrano“.
Mi aggiro tra le tombe, accompagnato dal poemetto di Valery, e osservato dal grande occhio del mare che scruta il Cimitero come un guardiano premuroso e amorevole. I morti sono tanti nomi, poche fotografie, molte date.
Mi siedo sotto un pino. “Bel cielo, vero cielo, guarda quanto/ Io cambio! Dopo tanto orgoglio, tanto/ Oziare strano, ma pieno di forza,/ A questo spazio dei morti l’ombra io sono/ Che mi piega a ogni sua fragile mossa“.
È il cielo che chiude e protegge, come un tendone del mercato brulicante di vita, il cimitero dove il silenzio è il sole che arroventa la pietra bianca dei sepolcri ed è il canto silenzioso di due angeli inginocchiati di fronte alla porta di una diroccata cappella: nel loro sguardo una dolentissima costernazione. “Una freschezza, che dal mare s’alza,/ L’anima mia mi rende… o forza salsa!/ Presto all’onda, a riemergere viventi!“.
Forse Paul Valéry sentì proprio questo camminando tra le tombe, quand’era un bambino, con gli occhi dell’innocenza, con il cuore del poeta, con la musicalità della lingua italiana e la razionalità della lingua francese: “E tu, anima grande, speri un sogno/ Che non avrà i colori di menzogna/ Che ai carnali occhi fan qui l’onda e l’oro…“.
Il sogno del Mediterraneo, come mare di pace. Il Mediterraneo è lì che ci aspetta, con la vita fatta di dialogo tra culture differenti, come i morti attendono la pace, non la loro, ma la nostra, dei vivi.
(4 – continua)
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