“Oggi la famiglia esce con le ossa rotte, nel corpo a corpo quotidiano con l’economia, soprattutto nei Paesi a più avanzata modernizzazione e globalizzazione. […] e la vita familiare rimane emarginata in una privatizzazione che, anziché liberarla e rafforzarla, la rende socialmente irrilevante, e sempre meno ‘interessante’, per le persone e per la società”. Così inizia la presentazione da me firmata di un volume di “economia della famiglia”  che ho tradotto e pubblicato poche settimane fa: Lubomir Mlcoch, Family Economics. Come la famiglia può salvare il cuore dell’economia (San Paolo, 2017). Un libro che vale la pena di leggere, soprattutto per chi ama la famiglia e per chi crede nel principio di sussidiarietà: ma vale la pena di capire come si è arrivati alla pubblicazione.



In effetti ormai da decenni mi occupo di famiglia, nel mio lavoro, con modalità molto diverse, con una strumentazione disciplinare che potrebbe essere definita sociologico-culturale. Un lavoro che è diventata una passione — o una passione diventata lavoro, non sono ancora riuscito a capirlo bene. So solo che riguardando le foto del mio viaggio di nozze, qualche sera fa, ne ho trovato una in Irlanda, dove in un vecchio rudere avevamo fotografato l’etichetta turistica “family room”, la stanza della famiglia.  E da allora non ho mai smesso di occuparmi di famiglia…



Negli ultimi anni, poi, soprattutto da Presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari (dal 2009 al 2015), mi sono reso conto che la famiglia, oltre che vivere sui propri sogni, progetti, scelte e risorse, non può non fare i conti con il contesto esterno. Anzi, molto spesso le regole esterne fanno la differenza, e sostengono o penalizzano le scelte familiari, soprattutto per i più giovani. Da qui la grande “vertenza famiglia”, per chiedere una politica family friendly (di fatto tuttora la grande assente, nel nostro Paese, nonostante proclami, progetti, dibattiti, convegni, ecc.).



Però, nel corso degli anni, è cresciuta anche in parallelo la consapevolezza che  la famiglia ha un bisogno assoluto non solo della politica, ma anche di una economia “family friendly”, per non essere schiacciata da meccanismi sempre più penalizzanti anche quando scegliere i propri comportamenti economici.  Per questo non ho avuto dubbi, quando mi hanno proposto di tradurre in italiano un volume di “economia della famiglia” (o “family economics”), disciplina di cui avevo già sentito parlare, ma senza capire se potesse davvero aiutare a promuovere una cultura e un modello sociale favorevoli alla stabilità della famiglia. Quando poi ho visto che l’autore, Lubomir Mlcoch, proveniva da Praga, confrontandosi quindi non solo con l’economia occidentale, ma anche con la storia dei Paesi dell’Europa ex-comunista, la decisione di tradurre il volume è diventata definitiva (e ringrazio le Edizioni San Paolo, che hanno accolto con grande disponibilità la proposta).  

L’autore, che è anche membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, chiarisce in modo molto netto la propria posizione nei confronti dei modelli economici di lettura della famiglia: “due secoli dopo Adam Smith, l’economia accademica ha spostato la propria attenzione dal mercato alla famiglia. Eppure essa si concentra ancora sulla natura e sull’origine della ricchezza, anche quando si tratta della ricchezza della famiglia. Questa prospettiva utilitaristica e questa enfasi sul calcolo economico dei costi-benefici, intesi in senso lato, sono un punto di riferimento per l’economia della famiglia neoclassica.
La razionalità e il calcolo economico sono applicati praticamente a ogni aspetto delle relazioni familiari e tutti gli antichi limiti etici vengono oltrepassati. Ma così facendo la razionalità economica rischia di diventare irrazionale. L’avvertimento di Amartya Sen contro la ‘razionalità folle’ (foolish rationality) non si applica meglio a nessun altro ambito che alle relazioni familiari. Per questo la prospettiva di Becker viene a volte considerata, a torto o a ragione, come una manifestazione di imperialismo economico”.

Le argomentazioni che sostengono questa teoria sono ampiamente distribuite nel volume, anche con alcune visioni ed esemplificazioni molto originali, e conviene rimandare alla sua lettura (che spesso sorprenderà il lettore, per il tipo di riferimenti, citazioni e teorie interpretative proposte). Mi pare invece più interessante, evidenziare la particolare modalità con cui l’Autore ha sfidato le teorie economiche a partire dalla propria esperienza, dando per certi versi voce anche a tanti momenti della vita familiare di ciascuno di noi, quando ci rendiamo conto che in famiglia si è disposti a “dare senza corrispettivo”, e che i legami familiari come dice anche “Mastercard” in una fortunata intuizione pubblicitaria, “non hanno prezzo” (ma hanno certamente valore!).
Conviene cedere a lui la parola: “Quando ho iniziato a studiare l’economia della famiglia (‘family economics’) neoclassica della Scuola di Chicago ho dovuto confrontare questa teoria con la mia personale esperienza di vita. Ho dovuto pensare non solo alla famiglia in cui ero nato — completamente contro ogni aspettativa razionale di calcolo di utilità — ma anche alla famiglia che avevo formato. E la mia esperienza personale non ha confermato la prospettiva utilitaristica di Becker. […] Nessuna delle decisioni che abbiamo preso era fondata su considerazioni finanziarie. Il denaro non era il primo fattore, e nemmeno il secondo. […] C’è sempre stato qualcos’altro in gioco, per entrambe le parti ‘del contratto’. E la mia fede personale mi porta ad aggiungere: grazie a Dio questo qualcosa non riguardava i soldi. Un approccio scientifico non si può fondare sulla singolarità dell’esperienza di vita di un individuo. Tuttavia, se questa esperienza di vita contraddice le ricorrenze e i modelli proposti da una teoria, ci si dovrebbe chiedere il perché. Questa domanda potrebbe condurci ad uno sviluppo ulteriore e più analitico della teoria, e alla formulazione di modelli più raffinati, capaci di includere e spiegare le eccezioni. Peraltro questa domanda potrebbe condurci anche al compito, molto più difficile, di cambiare il paradigma e di riformulare una nuova teoria, che sia capace di descrivere e spiegare in modo più ampio e comprensivo i fenomeni sociali”. 

Una nuova teoria economica, che sappia dare il giusto valore (anche economico)  alle cose che hanno davvero valore nella nostra vita: è la famiglia è certamente una di queste.