Esiste un “modello Milano” oppure no? Non si tratta di coltivare alcuna forma di campanilismo, ma di capire se esiste un punto che possa far da volano per una ripresa in tutto il Paese. Perché storicamente Milano e la Lombardia hanno avuto questa funzione.

Ieri è stato presentato il Rapporto sulla città Milano 2017 della Fondazione Ambrosianeum con a tema l’innovazione, letta come fermento di cambiamento che interessa e connette diversi livelli: imprenditoriale, sociale (dai servizi di welfare all’integrazione), formativo e istituzionale.



Il Rapporto descrive un momento di transizione, importante e delicato, un “già e non ancora” che però contiene un punto fondamentale di continuità con il passato che è la sua forza: la creatività e la laboriosità che “dal basso” tendono a far rete, a superare la contrapposizione pubblico-privato e a informare virtuosamente il livello istituzionale.



Cosa è cambiato in questi ultimi anni? Cosa ha fatto sì che il livello di sviluppo di questa area raggiungesse e superasse i dati pre-crisi e salisse al primo posto in Italia e al diciottesimo nel mondo tra le metropoli più attrattive?

Dalla crisi del 2008 tutto il sistema ha subito una spinta obbligata verso l’innovazione. In ambito imprenditoriale questo ha portato Milano a diventare capitale delle startup. Dal 2002 a oggi il Politecnico, ad esempio, ha attivato 25 centri di ricerca congiunti in alcuni settori di punta: elettronica, chimica, energia, trasporti, telecomunicazioni. Si tratta di centri che permettono l’interazione continua, fianco a fianco, tra ricercatori e imprese con una “comune vocazione, quella di fare innovazione sul e per il territorio”. Delle oltre 8mila idee imprenditoriali raccolte negli anni, ne ha supportato circa 350. Di queste ne sono sopravvissute più dell’80 per cento. Numeri che danno speranza se non fosse che queste realtà non si sono (ancora?) trasformate in grandi opportunità occupazionali. I dati parlano infatti di un dipendente ogni tre soci.



Anche l’esperienza di collaborazione didattica università-imprese — sostengono i ricercatori — si qualifica per essere un processo nato dal basso. Così come per antonomasia avviene per un altro aspetto di innovazione importante, quello dello “sharing”. Sullo sfondo di quanto accade ad Amsterdam, San Francisco e Seoul, l'”economia collaborativa” prende forma grazie a internet, ma ha per luogo di condivisione lo spazio urbano. A Milano l’approccio alla sharing economy interessa sei settori peculiari di attività: l’accoglienza, la mobilità (car sharing, bike sharing etc.), il lavoro, i servizi personali, la ristorazione, la cultura e il tempo libero. E solo il 60 per cento delle iniziative è promossa dalle aziende, mentre il resto deriva da un processo “bottom up”.

Quella “dal basso” è la dinamica che tradizionalmente più riguarda i servizi di welfare e costituisce la vera cifra di una innovazione sociale. Di fronte a domande di tutela sociale sempre più differenziate, la principale leva è individuata nella diffusione delle partnership pubblico-privato e nel cambiamento di relazioni tra i diversi attori coinvolti nella promozione del benessere sociale. Milano è promotrice di “secondo welfare”, inteso come “mix di programmi di protezione e investimento sociali a finanziamento non pubblico fornito da un’ampia gamma di attori privati”, prevalentemente dal carattere territoriale. In questo processo giocano un ruolo decisivo le fondazioni ex bancarie, ma non solo.

L’esempio più importante di “innesco di innovazione sociale” è quello messo in campo da Milano per fronteggiare l’emergenza profughi e richiedenti asilo. E consiste principalmente nell’agire concertato dei diversi attori — Comune, Prefettura privato sociale e cittadinanza — coinvolti nella gestione dell’emergenza. Questo fa dire all’ex sindaco Giuliano Pisapia, intervenuto alla presentazione del Rapporto, che un modello Milano c’è eccome, anche a livello internazionale, “basta vedere quanto si è riusciti a fare con l’emergenza migranti”.

A Milano non è certo tutto rose e fiori. Rimangono anche qui le grandi criticità del momento: quella delle diseguaglianze, della disoccupazione, e dello “sperpero” di capitale giovanile. Il dibattito su quali soluzioni vadano attuate, se a partire dal rinnovamento del sistema o se dal sostegno a quello che si muove dal basso, è ancora aperto.