Da bambino, in attesa dei regali, non riuscivo a dormire. Accadeva ogni Natale, oppure, quando mio padre mi promise una bicicletta da corsa rossa per fuggire dall’entroterra ligure (il sogno durò tre ore: poi venne la caduta prima di scavalcare l’Appennino e addio bici colore del fuoco…). Ma la grande dolcissima notte in bianco fu quella prima della gita a Gardaland. La sognavo dopo la pubblicità in tv di Bim Bum Bam o dopo aver occhieggiato le foto sbiadite di un Topolino prestato da un cugino più grande. E Gardaland fu tutto questo: il castello di Dracula, il viaggio in canoa nella foresta, i delfini in festa, le montagne del Colorado Boat, il villaggio western con il finto sperone roccioso che ti precipitava sulla fronte. Una splendida giornata, avrebbe cantato Vasco. Gardaland mi aveva fatto toccare con mano la stella di cui raccontava Eugenio Finardi in Extraterrestre: “Extraterrestre portami via / voglio una stella che sia tutta mia / extraterrestre vienimi a cercare / voglio un pianeta su cui ricominciare”.
Non avrei mai pensato che alla soglia dei quarant’anni avrei vissuto lo stesso viaggio, (quasi) le stesse emozioni. Questa volta nel Parco Disney di Parigi.
Il grande hotel bianco e rosa all’inizio del Parco sembra emerso dalla Mitteleuropa. L’hotel è un attacco dantesco rovesciato: “Allacciate le cinture di sicurezza, voi che entrate, perché state per viaggiare nel Nuovo Mondo Colorato…”.
Dopo lo shock per il salatissimo ticket d’ingresso, la magia prende il sopravvento. Eccoci allora piombare in una brulicante cittadina del Missouri del primo Novecento dove tutto è accelerato. Siamo a Main Street, sul rettifilo che punta al Castello della Bella Addormentata. Si rincorrono edifici cari al nostro immaginario western (da Sergio Leone alle scazzottate di Bud Spencer e Terence Hill). Ci sono i lampioni a festa, tantissime bandiere, i ciondolanti pupazzoni dell’universo Disney…
Ma il City Hall, gli empori, i ristoranti hanno una doppia anima: all’esterno fanno volare nel mondo che non c’è più, dentro sono un inno al consumo. Il marketing è selvaggio: le bambine impazziscono per le orecchie di Topolino e i gadget vanno dal costume di Cenerentola alla maschera di Dart Fener. Memore dell’avventura di infanzia, scelgo ancora una volta il vecchio West. L’ingresso di Frontierland è trionfale. Torrette in legno di un fortino delle Giacche azzurre, con cannone e sceriffi. Ritornano in mente le sequenze di Balla coi lupi, Soldato blu, Piccolo grande uomo...
La prima attrazione da non perdere è Phantom Manor. Un maniero su una collina visitata dagli spettri. Vedi alla voce: Antologia di Spoon River. E in effetti sul retro c’è un piccolo (finto) cimitero. Gli arredi sono vittoriani e molto dark: specchiere che si deformano, candelabri inquietanti, ritratti ammiccanti alle pareti. Chissà forse D’Annunzio, dopo l’esperienza del Vittoriale, avrebbe potuto fare da consulente per la scenografia. In ogni dove aleggia il mistero. Si parla di uno spirito, di Melania, una bellissima sposa che aspetta invano il marito… Il fantasma della giovane immalinconirà i viaggiatori per tutto il percorso. Gli effetti speciali sono tra i migliori del Parco: da ripetere due volte per gli appassionati di The Walking Dead e dintorni.
Ma Frontierland è anche Big Thunder Mountain, il trenino che sferraglia nelle rocce dei pionieri, o Thunder Mesa Riverboat Landing, il giro in battello che porterà nel West solitario: tra tane di contrabbandieri e capanne di pescatori, si potrà diventare protagonisti di una delle avventure di Marc Twain, di Jack London o essere persino il Di Caprio del crudo Revenant.
I nostalgici di Indiana Jones non possono perdere la rievocazione del Tempio maledetto: c’è un roller coaster che percorre gli scenari che furono cari ad Harrison Ford: giungla soffocante, jeep abbandonate, il tempio per i sacrifici umani…
Tutta la zona di Adventureland però sedurrà i fan dei Pirati dei Caraibi: c’è il veliero, le innumerevoli grotte sotterranee con il tesoro nascosto, i passaggi tra gli alberi, le cascate… Poca adrenalina, infinitamente meno rispetto al Blue Tornado o allo Space Tornado di Gardaland, ma più “contemplazione” per le famiglie.
Per volare nel futuro, con gli occhi di Julius Verne o, perché no, con quelli di George Lucas, la tappa è Discoveryland, ma è una tappa agrodolce. Qui il Parco manca di omogeneità: le attrazioni sono più isolate, ci sono meno paesaggi, troppo asfalto. Il viaggio dentro il Nautilus è noiosetto e un po’ retrò. Guidare le macchine “futuribili” di Autopia può piacere solo ai bambini che mai diventeranno piloti…
Per qualche effetto speciale come si deve allora bisogna entrare nella saga di Lucas e lanciarsi nello Star Tour. Un simulatore di volo consentirà di passare alla velocità della luce tra asteroidi, di ingaggiare duelli con le astronavi dell’Impero, di affrontare la Morte nera, la gigantesca astronave del male. Peccato duri solo cinque minuti. Comunque meglio spesi rispetto a entrare nel Buzz Lightyear Laser Blast...
Il cuore del grande parco è il castello fiabesco di Fantasyland: è la chiave che dà l’accesso alla storia della Principessa addormentata nel bosco, alla Spada nella roccia, a Mago Merlino, a Peter Pan, alle avventure di Biancaneve e i sette nani…
Il castello si fa memorabile la notte, con i fuochi d’artificio o quando diventa il proscenio delle parate dei personaggi Disney. Certo, la notte, se si è avuta la forza di resistere tutto il giorno, alle code, alla gran confusione delle moltitudini in cammino. Ma tutto è più facile quando si torna bambini. Si semel in anno licet insanire…