Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad un fiorire di articoli,  negli inserti culturali dei grandi quotidiani, dedicati a temi come il degrado del linguaggio, l’eccesso di virtualità, la diminuzione del livello culturale del cittadino medio e anche dei laureati, l’impoverimento dei contenuti proposti dai mass media, l’abuso di cellulari, e argomenti consimili.  Seppure scritti da esperti, nel complesso riportavano ogni volta alla mente, per chi la conosce, la parabola dei cinque ciechi alle prese con l’elefante. 



Così ce la ricorda Alberto Contri, all’inizio del suo recente saggio uscito per i tipi di Bollati Boringhieri (McLuhan non abita più qui? I nuovi scenari della comunicazione nell’era della costante attenzione parziale. 309 pagg.).

“Elaborata dall’Anekantavada, una filosofia jainista sviluppatasi in India intorno al 500 a.C., la parabola ricorda che la verità e la realtà sono percepite in modo diverso a seconda dei diversi angoli di visuale dai quali vengono osservate, sicché nessun singolo punto di vista può costituire la verità nella sua globalità. Tale principio fu divulgato e spiegato con un famoso disegno in cui si vedono cinque ciechi che stanno toccando ognuno una parte di un elefante. Il cieco che abbraccia una zampa crede di abbracciare un tronco, quello che stringe la proboscide crede di stringere un serpente, quello che sfiora l’orecchio crede di aver sfiorato una foglia di palma, quello che prende in mano la coda crede di aver preso in mano una scopa: per forza di cose, nessuno di loro riesce ad andare oltre la realtà che sta toccando da vicino con la propria mano. 



Questa illustrazione fu creata per dimostrare l’importanza della visione olistica, cioè uno sguardo capace di osservare e cogliere contemporaneamente i tanti, diversi lati della realtà e di metterli in relazione l’uno con l’altro, operazione che richiede anche la capacità di svincolarsi dai pregiudizi e la volontà di ritagliarsi del tempo per prendere una certa distanza dall’oggetto osservato”. 

Sotto questo punto di vista, per quanto singolarmente pregevoli, gli articoli cui accennavo non arrivavano mai ad individuare la vera origine dei problemi descritti, proprio perché privi di una visione olistica e del necessario approccio interdisciplinare.



Approccio che invece costituisce il principale pilastro della visione che scopriamo nel saggio di Alberto Contri. Dato il titolo, potrebbe sembrare trattarsi di un testo per specialisti o professionisti della comunicazione — e in parte lo è —, in realtà è un testo capace di affrontare con uno sguardo complessivo e illuminante tutte le tematiche di cui sopra. Lo fa grazie all’intuizione della “costante attenzione parziale” che illustri ricercatori sociali hanno già definito un fattore che incide e inciderà in forma rilevante sul lavoro delle imprese, delle agenzie di pubblicità, degli editori, dei media televisivi, e dei consumatori come utenti e come cittadini.

Il saggio inizia con una riflessione di fondo, riguardante i grandi breaktrough, vale a dire le grandi rotture evolutive nella storia della comunicazione: prima in assoluto, nel 50mila a.C., la nascita del linguaggio; nel 1500 a.C. la nascita della scrittura; nel 1455 d.C. la nascita della stampa; nel periodo che va dal 1840 al 1990, una interrotta sequela di innovazioni come i grandi quotidiani, la telegrafia senza fili, la radio, il fonografo, la fotografia, il cinema, il tubo catodico, la tv, la digitalizzazione dei segnali, il pc. Per arrivare ad un nuovo grande big bang nel 1990, la nascita di internet, con i suoi rivoluzionari portati dell’interattività e della geo-localizzazione.

Con un’immagine assai convincente, e anche un po’ preoccupante, l’autore propone una lunga molla le cui spire si comprimono dapprima assai lentamente (50mila anni, poi 3000, poi 400, poi 100) fino a risultare del tutto schiacciate ai nostri giorni. Giorni in cui scopriamo di essere sopraffatti da un sovraccarico di informazioni, e da una paradossale mancanza di tempo per poterne fruire adeguatamente: compressi tra le ultime spire della molla. Per cui le persone, pressate da un numero sempre maggiore di stimoli e di azioni da compiere, reagiscono cercando di diventare multitasking anche grazie alle opportunità fornite dai sempre più efficienti smartphone. 

Oltre alla moltiplicazione esponenziale dei canali informativi, di intrattenimento, e alla mancanza di tempo per usufruirne, Alberto Contri segnala un ulteriore importante fattore critico che definisce di carattere antropologico: lo ha voluto rappresentare nella foto che compare in copertina, in cui si vede una trentenne con sei braccia (novella dea Khalì), le cui mani controllano contemporaneamente un telecomando della tv, uno smartphone, un tablet, un mouse del pc, un telecomando della playstation, e anche una tazzina di caffè. La tesi dell’autore, suffragata da un’accurata bibliografia che rimanda alle più avanzate ricerche in campo neurologico e cognitivo, è che il cervello umano non è in grado di supportare una funzione che è invece tipica di un pc, per cui il soggetto che cerca di essere multitasking vive sempre di più di frammenti, rielaborando poi, inevitabilmente, altrettanti frammenti. Una condizione ben sintetizzata nella formula della “costante attenzione parziale”. 

Dato che Alberto Contri — oggi docente di comunicazione sociale alla Iulm di Milano — è un autorevole rappresentante del mondo della comunicazione, per prima cosa illustra le ricadute di questo atteggiamento sul mondo della pubblicità, che sta vivendo un momento molto difficile, come si rileva dalle citazioni di Seth Godin, importante guru del marketing contemporaneo: “I pubblicitari dipendono dalla massa, ma la massa non c’è più!”. E di Patrick Goldstein, critico del Los Angeles Times: “Oggi siamo una nazione di nicchie. Esistono ancora film blockbuster, programmi televisivi di successo, e cd che vendono bene, ma sono sempre meno gli esempi di eventi che catturano lo spirito della cultura popolare condivisa. L’azione è altrove: il paese guarda la tv via cavo o legge blog rivolti a un pubblico specifico”. E ancora, di Mario Abis, presidente della società di ricerche Makno: “C’è una notevole differenza tra un telespettatore che guarda un programma mentre gioca con i figli e uno che twitta le sue reazioni: in quest’ultimo caso l’effetto si moltiplica”. Aggiunge Contri: “E l’effetto si dimezza o si annulla se contemporaneamente sta smanettando per vedere altre cose sul tablet o sullo smartphone. Per cui è facile comprendere come debbano essere ripensate le rilevazioni delle audience e anche le modalità di comunicazione nel nuovo ambiente digitale”. 

Ma l’autore non si limita ad evidenziare i problemi, indica anche le soluzioni. Da attento osservatore della pubblicità internazionale, sottopone all’attenzione del lettore una selezione di case-history di marche e imprese grandi e piccole che, insieme alle loro agenzie, hanno ben compreso che il pensiero creativo è e resterà analogico, mentre sono le applicazioni ad essere digitali. Accanto ad ogni case-history  ha messo un QR-code, cosicché puntandovi sopra il proprio smartphone è possibile vedere all’istante spot virali, flashmob, esempi di branded entertainment. Una vera novità, che rende il libro estremamente utile e anche divertente.

Un’altra importante ricaduta della “costante attenzione parziale” riguarda l’apprendimento e quindi le giovani generazioni, sempre più multitasking, con una mente e un cervello quotidianamente nutriti di brandelli. Grazie alla sua esperienza di docente universitario, Contri ha potuto scoprire che la raccolta di spizzichi di nozioni, insieme al troppo precoce abbandono della scrittura a mano in favore dell’uso della tastiera di un computer, provoca alla fine un ritardo del linguaggio ed un pensiero sempre più destrutturato. Cita Wittgenstein: “Dato che il linguaggio è il mezzo con cui l’io si relaziona con la realtà, se è corrotto il tuo linguaggio, significa che è corrotto il tuo rapporto con la realtà”. E conclude amaramente: “Con il naso sempre sullo smartphone i miei studenti credono di essere sempre connessi con la realtà, e invece ne sono sempre più fuori. Lo dimostra il linguaggio smozzicato e confuso con cui un numero crescente di loro si presenta agli esami e alla discussione delle tesi”. 

Molte sono le pagine dedicate a riportare le ricerche di tutto il mondo in campo neurologico, cognitivo, grafologico, sociologico, che sollevano lo stesso problema. Anche in questo caso l’autore propone soluzioni che non intendono affatto demonizzare lo sviluppo delle tecnologie per la comunicazione, ma tendono ad indicarne un uso più consapevole e utile allo sviluppo della mente. Fra le tante, merita di essere ricordato il Digital Detox, introdotto di recente dal Ceo della Virgin, Richard Branson, che sta prendendo piede in aziende di tutto il mondo.

Dato che è stato per quattro anni anche membro del Cda della Rai, Alberto Contri dedica pagine assai interessanti al tema del servizio pubblico radiotelevisivo, che secondo lui dovrebbe avere come primo obiettivo “Elevare il senso critico del paese”. A suo parere chi opera nella tv pubblica dovrebbe ragionare come l’imperatore Adriano immaginato da Marguerite Yourcenar: “Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo”.

Conclude il saggio un’intervista della giornalista Annamaria Barbato Ricci, capace di rendere palese come i grandi successi ottenuti nella sua carriera dall’autore siano stati tutti frutto, oltre che di una particolare forma di resilienza, della visione olistica e interdisciplinare che oggi lui propone come ricetta per navigare senza perdersi nei nuovi mari digitali. 

Last but not least, va detto che l’introduzione del saggio è a cura di Derrick De Kerchove, già allievo, e oggi massimo studioso di McLuhan, mentre in appendice si trova, rivisto e aggiornato, il “Glossario della pubblicità interattiva”, per gentile concessione del Chapter italiano dello IAB – Interactive Advertising Bureau. 

In definitiva, ci troviamo di fronte ad un libro da leggere e anche da vedere, grazie all’idea dei QR-code, particolarmente stimolante in virtù di una serie di intuizioni di grande utilità per professionisti della pubblicità, giornalisti, editori, ma e anche insegnanti e studenti di marketing e comunicazione.