L’Accademia di Brera per il terzo anno consecutivo ha aperto le sue porte alla città, mostrando nei suoi spazi i lavori svolti dagli studenti nelle varie discipline. La mostra si è conclusa questo sabato 12 agosto, dopo avere aperto i battenti il 13 luglio. E’ la terza edizione, la prima era nata in corrispondenza dell’Expo. Mi hanno detto che il pubblico è stato soprattutto di turisti, molto curiosi, più che di milanesi.
Non sono né giornalista né critica d’arte, voglio solo riportare tre aspetti che mi hanno colpito a livello generale. Primo, gli allestimenti sono spesso semplici, ma le opere esposte denotano un profondo pensiero. Secondo, con un budget minimo professori e studenti sono riusciti a portare avanti questa iniziativa: in un’era in cui sembra che senza soldi non si riesca a far niente, hanno dimostrato il contrario. Non intendo con ciò giustificare i tagli di risorse all’arte e alla cultura, quanto piuttosto esprimere la mia ammirazione nei loro confronti. Terzo, la mostra è stata autogestita dagli studenti e questa è una delle novità rispetto alle precedenti edizioni. Sono loro ad aver fatto gli allestimenti e a presenziare i vari spazi espositivi. In questo vi è un profondo senso di appartenenza e di “ownership” che mi sembra fondamentale. Un modo di mettere radici, di sentirsi legati a un progetto concreto, invece di perseguire realtà solamente virtuali che ci tirano in tante direzioni, frammentandoci.
A livello particolare di opere ve ne sono tre che mi hanno “parlato”, data la mia sensibilità e le mie vicende personali. Devo premettere però che tutte le opere in mostra riflettono un profondo impegno e hanno suscitato in me un senso di stupore.
Nella sala Fotografia due immagini distanti fra di loro, sia fisicamente che stilisticamente, hanno catturato la mia attenzione. Si direbbero essere di autori diversi, tuttavia ho scoperto essere entrambe di Alessandro Allegrini. La prima ritraeva un interno industriale e si poteva apprezzare la grande nitidezza dell’immagine e la cura del dettaglio. La seconda invece ritraeva una bambina nel momento di compiere forse una capriola in un campo. Nitida e statica la prima, dinamica e sfocata la seconda. La mente cerca nella nitidezza e nella staticità la sicurezza ma è il dinamismo, con il suo continuo evolvere, a darci la forza. Quest’ultima ci richiede però il saper convivere con immagini sfocate.
Nella sala dedicata alla Terapeutica artistica vi era un’installazione opera di tutti gli studenti della classe. Che meraviglia, un lavoro collettivo di enorme vigore. Non riflette già questa cooperazione una terapia di per sé? In un mondo dove l’individualismo è portato all’estremo, questa installazione porta il nome di tutti. I colori, arancione e nero, ricordavano quelli di Halloween, la notte in cui escono i fantasmi. E siccome l’arte è terapia, in questo caso era come invitarli a comparire innanzi a noi, a mostrarsi in tutto il loro movimento, tutto il loro affollamento: sono tanti e sono dinamici. Ma sono lì, innanzi a noi, li vediamo, e con questo atto forse vengono già trasformati.
Nella sala Nuove tecnologie vi era un diario che ho preso in mano e ho letto. Solo in un secondo momento ho capito di cosa si trattava. L’artista è Silvia Cappuzzello. Nelle prime pagine annotava il potere della scrittura quotidiana come aiuto, parla di piccole cose, piccoli eventi che fanno l’ordinarietà del vivere. Nelle pagine successive la scrittura scompare, sostituita da immagini colorate che via via perdono le loro forme e i loro colori, per giungere a un buio totale: come un televisore che va perdendo il segnale fino a quando si spegne. Sento alla fine l’intento dell’opera quale rappresentazione artistica della malattia dell’Alzheimer. In questi giorni quando mia madre, afflitta da questa malattia, comincia a dire cose sempre più confuse, compaiono innanzi a me le immagini di questo diario: mi sembra di sfogliarlo e di arrivare velocemente al segnale che si sta perdendo. Cos’altro si può chiedere all’arte se non di accompagnarci e guidarci, così come questo “semplice” diario ha saputo fare con me?