Dieci anni fa usciva uno dei libri più belli di teoria della letteratura: La letteratura in pericolo di Tzvetan Todorov, il grande scrittore di origine bulgare trapiantato a Parigi dagli anni Sessanta, scomparso nel febbraio di quest’anno.

Tzvetan Todorov è stato uno dei più grandi intellettuali europei del nostro tempo. Nato in Bulgaria nel ’39, si formò in Francia, alla scuola di Barthes e di Genette ed ebbe un ruolo importante nella diffusione dei formalisti russi. Nella premessa a La letteratura in pericolo, racconta come nella Bulgaria della cortina di ferro gli studi linguistici costituivano una scelta obbligata per quanti amavano la letteratura ma non volevano compromettersi con l’ideologia del regime comunista. Con sua grande sorpresa, narra come nell’Europa libera degli anni sessanta constatò che si andava affermando una teoria della letteratura improntata al più arido strutturalismo e come ciò comportasse una concezione fortemente impoverita dell’arte e della letteratura e quindi dell’umanità stessa. 



Gradualmente, allargando i suoi orizzonti alla filosofia e all’antropologia, mutò la sua prospettiva, e di ciò recano testimonianza anche i titoli delle sue opere degli anni settanta: La letteratura fantastica e Teoria del simbolo. Sempre più, nei suoi studi, si accamperanno i temi dell’incontro e del dialogo con l’altro da sé, con il cosiddetto “diverso”. Molto noto è, in questo senso, La conquista dell’America. Il problema dell'”altro” del 1984, sulla civilizzazione del continente americano. Il libro si apre con la frase: “Voglio parlare della scoperta che l’io fa dell’altro”. Illuminanti ci paiono ancora oggi le pagine sul “pregiudizio di eguaglianza”, grave ostacolo alla conoscenza dell’altro. Comparvero poi, all’inizio degli anni duemila, altri testi importanti, come Il nuovo disordine mondiale e Lo spirito dell’illuminismo



Ma vorremmo qui soffermarci su La letteratura in pericolo, un felice colpo al cuore dei lettori, in cui il grande intellettuale, partendo dalla sua esperienza, lancia un grido d’allarme, appassionato e polemico, sulle condizioni attuali dell’insegnamento della letteratura. Davvero, solo una precisa consapevolezza del pericolo in cui versa l’arte che più amava poteva spingerlo a tale spietato j’accuse, che è, in buona parte, anche un’autocritica. 

Afferma, nella bellissima premessa: “Quando mi chiedo perché amo la letteratura, mi viene spontaneo rispondere: perché mi aiuta a vivere. Non le chiedo più, come negli anni dell’adolescenza, di risparmiarmi le ferite che potevo subire durante gli incontri con persone reali; piuttosto che rimuovere le esperienze vissute, mi fa scoprire mondi che si pongono in continuità con esse e mi permette di comprenderle meglio. Non credo di essere l’unico a pensarla così. Più densa, più eloquente della vita quotidiana ma non radicalmente diversa, la letteratura amplia il nostro universo, ci stimola a immaginare altri modi di concepirlo e di organizzarlo. Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all’infinito questa possibilità d’interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò, infinitamente. Ci procura sensazioni insostituibili, tali per cui il mondo reale diventa più ricco di significato e più bello. Al di là dall’essere un semplice piacere, una distrazione riservata alle persone colte, la letteratura permette a ciascuno di rispondere meglio alla propria vocazione di essere umano”. 



Nel proporre queste considerazioni, Todorov ha in mente i metodi di insegnamento della letteratura in Francia, caratterizzati da “un rigore soffocante”, fatto di “giochi formali, lamenti nichilisti ed egocentrismo solipsistico”. Formalmente democratica, in realtà la mentalità dominante è dogmatica: agli studenti viene insegnato che “la verità non esiste o che resterà sempre inaccessibile”. Ciò scontenta sia i giovani, sempre meno attratti dagli studi umanistici, sia la maggioranza degli insegnanti, i quali “hanno scelto il loro mestiere perché amano la letteratura, perché il significato e la bellezza delle opere li emozionano e non v’è alcun motivo per cui debbano soffocare questa pulsione”. Come detto, lo scrittore si riferisce alla didattica in uso in Francia, ma la situazione italiana non è poi tanto diversa, se pensiamo che ancora oggi la tipologia principale della prova scritta di italiano agli esami di Stato si chiama “analisi del testo” in cui, attraverso rigide griglie interpretative, vengono puntualmente massacrate le grandi opere della letteratura italiana.

Nello stesso periodo in cui componeva questo saggio, Todorov si dedicava a un altro libro splendido, tradotto in italiano con il titolo La bellezza salverà il mondo (ma il titolo originale, Les Aventuriers de l’absolu, è molto più pertinente). Nel volume, dedicato a tre grandi figure della letteratura, Wilde, Rilke, Cvetaeva, Todorov illumina il rapporto tra arte e vita, fondamentale per questi autori, tesi alla costante ricerca dell’assoluto, che assume i volti sempre cangianti della bellezza. Partendo da un’esperienza personale, la partecipazione ad un concerto di musiche di Vivaldi, Todorov racconta dell’aspirazione alla pienezza e al compimento interiore, presente in ogni essere umano. L’arte rappresenta questa esigenza di assoluto.

Nella Letteratura in pericolo, Todorov si guarda bene dal disprezzare i diversi metodi critici. Occorre utilizzarli tutti, considerando però che essi sono mezzi e non fini: il lettore non si accosta alle opere letterarie per padroneggiare meglio un metodo o per ricavare notizie sulle società in cui sono nate, “ma per trovare in esse un significato”, in grado di consentirgli “di comprendere meglio l’uomo e il mondo, per scoprire una bellezza che arricchisca la sua esistenza; così facendo riesce a capire meglio sé stesso”.

Numerosi e straordinari sono gli esempi di lettura che Todorov ci consegna in questo libro indimenticabile, nel quale ringrazia così i grandi scrittori: “La letteratura può molto. Può tenderci la mano quando siamo profondamente depressi, condurci verso gli esseri umani che ci circondano, farci comprendere meglio il mondo e aiutarci a vivere”; essa ha quindi un ruolo “vitale” da svolgere, “ma può ricoprirlo solo se viene presa nell’accezione ampia e pregnante che è prevalsa in Europa fino alla fine del XIX secolo e che oggi è stata messa da parte, mentre sta trionfando una concezione assurdamente ristretta”. Ha quindi ragione il “lettore comune”, “continuando a cercare nelle opere che legge come dare un senso alla propria vita”, rispetto a “insegnanti, critici e scrittori quando gli dicono che la letteratura parla solo di sé, o che insegna solo a disperare. Se non avesse ragione, la lettura sarebbe condannata a scomparire nel giro di breve tempo”.

A noi spetta il compito di raccogliere l’appello di Todorov, pronti a batterci per quello che amiamo, sapendo che chi difende la bellezza difende un pezzo di umanità, innanzi tutto la propria.