Difficile aspirare a essere la più celebrata nobildonna del proprio tempo, se, pur essendo la marchesa di Mantova, si ha come cognata nientemeno che la figlia del Papa, Lucrezia Borgia: questo è il punctum dolens (uno dei maggiori, ma non il solo) dell’esistenza della celebratissima Isabella d’Este, sposa di Francesco Gonzaga, marchesa di Mantova. Ai destini incrociati di Isabella e della cognata, la figlia di Rodrigo Borgia, e sorella del Valentino, Cesare Borgia, Alessandra Necci dedica il suo ultimo lavoro, Isabella e Lucrezia, le due cognate. Donne di potere e di corte nell’Italia del Rinascimento (Marsilio 2017). L’autrice si è dedicata in passato alla vicenda del Re di Roma (Il prigioniero degli Asburgo, 2011); all’ascesa e caduta di Fouquet (Re Sole e lo scoiattolo, 2013); a Talleyrand e Fouché (Il Diavolo zoppo e il suo compare, 2015). La sua prosa e la sua attenzione per i moti interiori dei suoi personaggi, senza mai scadere nello psicologismo, risentono della grande tradizione francese, e, in effetti, Alessandra Necci si è specializzata in Sorbona ed è insignita dell’onorificenza di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres. 



Qui mette a confronto due modelli femminili agli antipodi: Isabella, figlia di Ercole I d’Este, detto “il Tramontana” per il suo carattere freddo, fu una bambina amatissima, complimentata e omaggiata dovunque; sposa di Francesco Gonzaga, a Mantova divenne simbolo della donna capace di sottili strategie politiche. Ma il personaggio aveva anche atteggiamenti sgradevoli: anaffettività nei confronti delle figlie femmine (di Ippolita e Livia, destinate al chiostro, cinicamente, dirà di averle “maritate a un genero che non avrebbe mai dato fastidi”); rivalità crescente con la primogenita Eleonora, celebrata come “la Bella”; e spregiudicatezza politica, se persino Giulio II perderà più volte la pazienza, chiamando Isabella, fra gli strepiti, “puttana ribalda”. E la passione per il bello e per l’arte, per cui Isabella sarà celebrata in Europa, diventò presto monomania. 



La “marchesana” potrebbe risultare respingente, ma la sua regola di vita è meno arida del previsto: “Non bisogna attendere altro che alla salute dell’anima prima e dell’onore e comodo della persona poi, per cavare qualcosa da questo fragile mondo, e chi non sa compartire il tempo della vita sua passa con molta passione e poca lode”, scrisse. La passione conta davvero poco per lei, moglie d’un adultero seriale che non si fa scrupolo a intrecciare una liaison con Lucrezia Borgia (ecco un altro motivo, direi fondato, dell’antipatia di Isabella). Certo, Isabella avrebbe dovuto esercitare i suoi talenti su un territorio più vasto della piccola città, “magari su una nazione”; non è l’Estense ad avere deluso le aspettative, sono le troppo elevate aspettative da lei nutrite su di sé che la amareggeranno. 



Ben diversa Lucrezia: se Isabella è estroflessa e politica, Lucrezia ha un atteggiamento “inclusivo”: necessita di quiete, calma, riflessione, e spesso si ritira in solitudine in convento, ben da prima dell’arrivo a Ferrara come sposa del duca Alfonso, fratello di Isabella. Morirà giovane, dopo aver visto il tramonto del suo mondo, che aveva bisogno della bellezza, dell’armonia, della serenità proveniente dalla spinta immaginifica della cultura. Isabella e Lucrezia, per forza dei tempi incapaci di immaginare un progetto politico globale — vulnus tipico della storia italiana — sono però diventate “portavoce di un tempo senza tempo”, scolpito ancora oggi nell’immaginario collettivo come espressione di quanto di sublime possa produrre l’animo umano.