Sono giorni in cui ci si diverte a fare battute sui nuovi smartphone che funzioneranno con il riconoscimento facciale, sono giorni in cui fioccano barzellette e storie amene su gente rifatta che dovrà faticare ad usare telefoni e computer che in realtà, ormai, sembrano avere abbondantemente superato il loro stato di strumenti di comunicazione: telefoni e pc hanno sguardo e anima, al punto che… potrebbero scrivere poesie. 



Non è uno scherzo: già da tempo è stato inventato un programma per il computer che, immettendo una serie di “informazioni ungarettiane e dickinsoniane”, consentiva al software di costruire varianti nuove dentro quegli universi lessicali e sintattici e di creare nuovi testi che rimanevano nell’aura poetica dei due autori. 



Ora, qualche volta, leggendo i libri di poesia degli ultimi anni, viene il sospetto che siano stati davvero costruiti così. A qualcuno piace, in fondo si ritrovano in quei libri stilemi, lessico e andamento riconoscibili, ascrivibili a una nuova, asfittica e vincente scuola italiana: niente sangue, niente urto, niente mondo, nessuno sguardo e nessuna voce. O, se si prefersice, la voce, la lingua annacquata e politicamente corretta di un indistinto soggetto omologato. 

Ne ho uno qui sulla scrivania, di questi libri minimalisti, ho appena finito di leggerlo (non lo citerò: credo ancora che la critica serva a indicare cose positive, che si debba parlare di bei libri e che non valga la pena accanirsi contro un autore o un testo) e ho bisogno di prendere un po’ d’aria, di risentire parole vere ed oneste, come voleva Umberto Saba e come vuole in Lettere dalla Beozia il grande poeta australiano Les Murray che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente una lontana e freddissima sera d’inverno a Milano, in occasione della presentazione della sua raccolta di poesie Un arcobaleno perfettamente normale. 



Nei suoi saggi, Les Murray parla del GLR, il Gusto Letterario Ricevuto, cioè di quell’ “insieme di opinioni e presupposti consuetudinari di quella casta letteraria e intellettuale dalla quale in definitiva sgorgano tutte le ideologie. (Essa) aspira all’aristocrazia, soffrigge ogni parola nel disprezzo… Ho la tendenza a giudicare il valore sia degli scrittori sia dei critici dalla distanza che mantengono fra sé e il GLR. Allo stesso tempo so che per molte persone l’ingresso nella letteratura passa attraverso quel gusto… Dobbiamo lottare con questo gusto, se vogliamo raccontare una versione della realtà che non sia fra quelle prescritte, ed esso ci attira a sé come una forza gravitazionale, cerca di pensare per noi, di farci snobbare le nostre intuizioni più personali, di proscrivere i temi non autorizzati, di controllare e imbrigliare l’imprevedibilità del piacere. Per quanto ne parlino bene, un’opera scritta in conformità al GLR non può essere altro che di seconda scelta”. 

Quello di cui parla Murray, non è da identificare con quello che nella nostra tradizione letteraria potrebbe essere definito come il canone, cioè l’insieme delle norme che fonda una tradizione, determinandone i confini passati e futuri: quando in un’opera o in un gruppo di opere omogenee vengono identificate caratteristiche con valore fondativo, si sta indicando un canone che potrebbe influenzare la creazione delle opere successive e che ha sicuramente il valore di un paradigma con cui confrontarsi. Il GLR è da intendersi piuttosto come una sorta di griglia i cui criteri di esclusione e di inclusione dipendono da una tavola di pseudovalori riconosciuti all’interno di una sorta di comunità, di un’ideologia dominante che non lascia spazio ad altro da sé e che spesso non ha nulla a che vedere con i valori del lavoro poetico. 

In sostanza, il GLR diventa una forma di cristallizzazione del linguaggio, di irrigidimento dentro una serie di parametri all’interno dei quali dovrebbe stare la poesia se vuole essere riconosciuta come tale. Ma si può parlare oggi di un’idea dominante nella poesia italiana, si può ancora parlare di ideologie o non è piuttosto quello della poesia un fluire indistinto di diverse espressioni difficilmente valutabili? 

A me capita spesso di leggere poesie che copiano integralmente il lessico, che scimmiottano lo slang dei poeti affermati, che malinconicamente soffrono di epigonismo. Insomma, anche se si finge che non ci sia il GLR esiste, eccome. Ma per fortuna non è sempre così. Ci sono libri che sono un’esperienza onesta e vera dello sguardo; ci sono libri in cui incontriamo una linguapiena, come ancora Les Murray chiama la lingua poetica che, nominando le cose, ci immette dentro un mondo personalissimo. Ci sono poeti la cui voce diviene riconoscibile e unica, emergente dal flusso di una tradizione e capace di rinominare il mondo in modo originale; ci sono poeti che, avendo ascoltato le voci venute prime di loro, sono in grado finalmente di tradirle. Ci sono poeti che, nel rapporto con i maestri, non vogliono solo copiare stilemi e movenze, ma impossessarsi di uno sguardo, di una modalità di stare di fronte alla realtà che consenta loro di riscriverla poi con la loro voce. 

Ecco, di fronte a tante scorciatoie che la poesia sembra privilegiare ancora oggi — dall’oscurità contrabbandata per profondità, alla ricerca di un lessico aulico per distanziarsi dal quotidiano, o al contrario alla scelta di una lingua minimale che propaganda una visione asfittica e disperata del mondo — di fronte a tutte queste scorciatoie c’è la poesia di una lingua che accetta la sfida della ricca povertà delle cose, che non vuole mettersi al riparo dal brivido che ci prende nell’attraversamento dell’esperienza di ogni giorno e che tenta di chiamarla con nomi nuovi. Questa poesia ha come caratteristica comune, non tanto un identico stile formale, quanto piuttosto una tensione morale che, ancora con Saba, potremmo chiamare una tensione alla verità e all’onestà della parola. 

Ecco è di alcuni poeti così che vorrei parlare, di alcuni loro libri recentissimi che vale la pena conoscere. Ma qui mi resta solo il tempo di darne notizia in un elenco striminzito che non rende loro giustizia: nella collana di Puntoacapo editrice ci sono Vedere al buio di Mauro Ferrari e Rinascere da vecchi di Gianfranco Lauretano; per Passigli poesia la nuovissima raccolta di Riccardo Olivieri A quale ritmo, per quale regnante (ma credo di avere finito lo spazio che mi era stato concesso, così chiudo con una preghiera al mio caporedattore: che mi perdoni la lungaggine e che mi conceda di tornare, in un prossimo articolo, su questi libri così diversi eppure così intensi e necessari).