Rinascita. Intorno a questa parola che contiene il sale della vita, si è aggrappato George Abou-Khazen, vescovo apostolico dei latini di Aleppo, francescano della Custodia della Terra Santa, nella sua testimonianza al Cmc, Centro Culturale di Milano, dal titolo “La speranza tra le macerie”. Abou-Khazen ha portato la bella notizia dei primi segni di rinascita che si vedono nella città martire del lungo conflitto siriano. “Dopo quattro anni di guerra, nel dicembre del 2016 — ha ricordato il vescovo — la nostra città è stata liberata. Mancavano due giorni a Natale e stavamo preparando i festeggiamenti religiosi. La nostra rinascita è iniziata in quel momento. Abbiamo festeggiato per tre giorni, per il Natale e per la fine del conflitto”.
Abou Khazen non dimentica le enormi sofferenze che ha dovuto sopportare il suo popolo: “Aleppo è stata senza elettricità e per lunghi periodi priva di acqua potabile. Il conflitto ha portato grandi lacerazioni nelle famiglie, in particolare nei bambini. Oggi dobbiamo a superare i traumi causati dal conflitto che hanno colpito un po’ tutti ma soprattutto i più piccoli. All’inizio ci siamo sentiti impreparati a questo compito. Ora abbiamo iniziato a creare anche gruppi di lavoro che si avvalgono del contributo di alcuni psicologi”.
Il vescovo ha raccontato, in particolare, l’impegno delle parrocchie nei quartieri della città, la compagnia fatta ai più piccoli, il sostegno offerto alle famiglie: “Anche durante il tempo di guerra abbiamo coinvolto i bambini nelle attività degli oratori e nei campi estivi. Quando la situazione ce lo ha consentito, abbiamo portato fuori dalla città i ragazzi, insieme con alcune famiglie e degli adulti, perché avevano bisogno di vivere una situazione di normalità. Quest’anno, per esempio, è stato organizzato un campo estivo per 860 bambini. E abbiamo anche voluto una piscina, perché i ragazzi hanno bisogno di tornare a vivere e a giocare”.
Ha un tarlo che lo rode, però. Sono almeno 5mila bambini, tra i due e i sette anni, che sopravvivono abbandonati per le strade di Aleppo. Figli di nessuno, della guerra, della violenza. Che nessuno vuole accudire perché di seme che fa scandalo. “Dobbiamo fare qualcosa, è urgente. Altrimenti li perderemo, finiranno male. Il problema è che l’islam non prevede l’adozione. Ma qualcosa di concreto va fatta per via giuridica. Ne parlerò con il Gran Muftì di Aleppo con il quale ho avviato un dialogo fecondo. Nel frattempo è la carità chiamata ad agire”.
Il conflitto ha creato tante difficoltà alla città: “In questi quattro anni di guerra abbiamo subito la distruzione sistematica di molti edifici: sono state colpite le chiese, molte sono state gravemente danneggiate, altre completamente distrutte. Ora pensiamo alla ricostruzione che deve iniziare prima di tutto dal favorire la riconciliazione fra le persone”. “Non possiamo iniziare a ricostruire il Paese — ha sottolineato il vescovo — se non partiamo prima di tutto dagli uomini”. Abou Khazen è ottimista sul futuro della Siria: “La liberazione di Aleppo — ha aggiunto — rappresenta la possibilità di creare uno stato moderno, laico, dove ci sia la possibilità di vivere in pace per tutti”.
“La grande sfida che attende il popolo siriano — ha ancora precisato — è far tornare la fiducia nel vivere assieme”. Una convivenza, quella in Siria, che è stata possibile prima del conflitto anche fra comunità diverse, tra cattolici e anche musulmani. “Abbiamo sette vescovi cattolici di riti diversi, ma nelle nostre attività pastorali e culturali, facciamo sempre le cose assieme. Quest’anno organizzeremo un Sinodo a carattere ecumenico, come logo di questa iniziativa abbiamo scelto la figura degli apostoli di Emmaus che incontrano Gesù che vuole fare un pezzo di strada insieme a loro”.
Il moderatore della serata, Giacomo Gentile, dell’Associazione di Terra Santa, ha chiesto all’illustre ospite quali sono le prospettive che ha oggi la Siria. Il vescovo ha risposto di avere la speranza che si possa creare un’unità della nazione, in una convivenza laica e pacifica dove ci sarà libertà e tolleranza per ogni espressione: “Anche alcuni leader religiosi musulmani stanno spingendo in questa direzione, primo fra tutti il Gran Muftì di Aleppo che oggi lo è anche della Siria. Pensate che ha avuto il figlio ucciso e davanti alla televisione ha detto di aver perdonato gli assassini. Bisogna ripartire dal perdono. Con il Gran Muftì ho avviato un rapporto che punta a far tornare in quei luoghi la storica convivenza. Occorre che tutti insieme si prenda coscienza di essere una nazione”.
Tuttavia il vescovo di Aleppo sa che non mancano le difficoltà, ma “credo che se riusciamo a portare avanti quest’opera di ricostruzione morale a partire da Aleppo, saremo capaci di influenzare anche le altre città della Siria. L’esercito regolare ha iniziato a liberare i giacimenti petroliferi e questo ci consente di tornare ad avere l’energia che mancava durante gli anni di guerra. Molte famiglie di cristiani stanno lasciando i campi profughi per tornare in Siria, nelle loro città e nei villaggi. È un buon segno. I cristiani sanno che il loro futuro non sta nelle loro mani perché la salvezza viene solo da Dio. Il nostro compito è testimoniare che Cristo ci ama. Se sapremo testimoniare questo amore, potremo iniziare la riconciliazione del nostro Paese”. Rinascita, appunto.