Per ravvivare i classici itinerari turistici di Vienna, una delle mete più gettonate dai turisti di tutto il mondo, le guide à la page strizzano l’occhiolino alla voglia di trasgressione che ogni viaggio risveglia anche nel più pigro e abitudinario dei viaggiatori. Così assieme ai percorsi klimtiani, tra Palazzo Belvedere e la Palazzina della Secessione, o a quelli che mettono sulle tracce dell’opera di Egon Schiele disseminata nei molti musei dell’ex capitale imperiale, non potranno mancare gli itinerari del gusto, ma neppure quelli del sesso.
Le pubblicità di strip bar, locali per scambisti, o di storici locali riservati a nicchie omosessuali, solo per donne ad esempio (lesbiche o transgender specifica la guida), di saune dedicate, caffè letterari riservati, club o locali per party (la lista è incompleta), si trovano a disposizione negli alberghi, oppure per strada, portate in giro dai risciò, i moderni e più economici concorrenti delle più nobili (e costose) carrozzelle trainate dai cavalli.
Ciò premesso, se un turista un po’ attento e curioso volesse appuntare sul proprio taccuino da viaggio qualcosa di veramente trasgressivo, non altrettanto comune nelle grandi capitali mondiali e neppure segnalato dalle guide, farebbe bene ad annotarsi la presenza e la visibilità sociale dei bambini. A Vienna se ne vedono sui tram, sulle scale mobili delle metropolitane, nei parchi assolati, oppure impegnati nell’impresa di attraversare una grande piazza. Sono bambini tra i 2 e i 5 anni che in Italia sarebbero protetti al chiuso in una sezione primavera e nella scuola materna, ma che nella capitale austriaca vivono la città accompagnati da educatori in gruppetti di sette-otto, ma anche qualcuno in più. Sono attività inedite per bambini di quell’età. E lasciano intravedere una stima per la robustezza del bambino che le infinite attenzioni protettive ad essi rivolte minano invece in modo dissimulato.
Vienna è stata a lungo la patria di Freud, l’unico pensatore moderno che ha messo in valore il pensiero del bambino e la sua brillante intelligenza, specie se paragonata, scriveva il fondatore della psicoanalisi nell’Avvenire di un’illusione, a quella sclerotizzata dell’adulto medio. Il turista si imbatte nella sua casa museo in Berggasse 19 seguendo le vie del gusto, appena girato l’angolo di un locale che serve i piatti tipici della cucina austriaca: zuppe, canederli al fegato, arrosti vari, compreso il luccio del Danubio al profumo (forte) di aglio. La grande insegna con il nome Freud che spicca sulla strada con i colori nazionali, il bianco e il rosso, nasconde un atto mancato durato 26 anni: dalla fine della guerra al 1971, quando il governo austriaco, su pressione di quello americano, acquistò la casa che nel 1938 era stata espropriata e destinata a famiglie ariane. Berggasse è una via di case borghesi confinante con i quartieri del centro in stile impero. L’appartamento al secondo piano dove Freud visse e lavorò oggi appare spoglio. Solo la sala d’attesa è stata ricostruita fedelmente grazie a una donazione della figlia e discepola Anna. Il resto degli arredi si trova a Londra al 20 di Maresfield Garden dove Freud morì un anno dopo dall’esilio.
Le pareti sono ricoperte di foto e di documenti che rievocano il clima famigliare e quell’eccezionale rivoluzione intellettuale che accompagnò la nascita della psicoanalisi. Visitando le stanze di lavoro di Anna Freud colpisce un’altalena fissata sulla trave di una porta per il gioco dei bambini. Anna Freud raccolse l’eredità del padre a proposito della stima per il pensiero del bambino e sviluppò il filone del trattamento analitico dei bambini di cui Freud era stato pioniere con il Caso del piccolo Hans.
La visibilità sociale dei bambini a Vienna è anche la visibilità delle politiche sociali austriache in particolare dell’efficienza e modernità dei servizi per l’infanzia e del welfare famigliare. Oggi l’Austria, e in particolare Vienna, non è solo una meta turistica, lo è anche per giovani famiglie che cercano stabilità di lavoro e buone prospettive per propri figli, come racconta Cecilia intervistata da d.repubblica.it il 24 aprile 2017. Milanese, laureata in relazioni internazionali, blogger e madre di due bambini, Cecilia lo dice a chiare lettere: “L’Italia mi manca molto, ma la qualità della vita qui è imbattibile. Quando ti nasce un figlio ti trovi di fronte a un ricco sussidio di 1000 euro al mese per dodici mesi (Kindedbetreuungsgeld)”.
E non è finita: “Sempre a partire dal primo anno di vita, i genitori iniziano a ricevere un altro sussidio per le spese ordinarie che oscilla tra i 150 e i 180 euro al mese a bambino fino al compimento dei (udite, udite!) ventiquattro anni di età (familienbeihilfe). Ci sono ascensori in tutte le metropolitane, ricordo che con il mio passeggino doppio non ho mai avuto problemi a prendere i mezzi pubblici. Qui anche i bambini li prendono, spesso anche soli, magari per andare dalla scuola al doposcuola”.
A Gramellini, che lo scorso 31 luglio ha dedicato uno dei suoi “Caffè” sul Corriere della sera al quesito: Perché non facciamo più figli?, relativizzando gli effetti della “crisi economica e della mancanza di politiche a sostegno della famiglia” in favore del calo del desiderio, del tramonto dell’occidente e del crollo degli spermatozoi nel maschio occidentale, suggerisco un viaggio a Vienna. Magari invitando per quatto chiacchiere al Cafè Central, una delle mete preferite da Trotzky e Lenin in esilio, qualche mamma o papà incontrati in tram o in metropolitana con i loro figli.