Superando lo sgradevole intervento sulla storia dell’Università Cattolica da parte di A. Melloni su la Repubblica del 4 gennaio, Giovagnoli su ilsussidiario.net del 6 gennaio ha riaperto in modo interessante la questione dell’identità cattolica dell’Ateneo. Con il merito di porre la questione nella prospettiva non di polemiche del passato, ma in quella del presente-futuro. In sintesi — questa è la tesi —, se ha senso parlare di identità cattolica, questa va interrogata oggi “in senso storico”, come “un cammino da percorrere”, non come un “abito” o una corazza”; un’identità infatti — così interpreto — è tale nel suo farsi. Per usare le parole dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica (8 nov. 2017) l’identità dell’Ateneo va ripensata in termini di “vocazione” e di compito.
In un precedente intervento (Avvenire, 30 dic. 2017) Giovagnoli concludeva che, se certamente un’istituzione accademica ha delle sue funzioni specifiche, “molti segni indicano che, se non si interroga a fondo sulla sua (dell’U.C.) vocazione ‘cattolica’ in un tempo fortemente segnato dalla figura di papa Francesco, ne soffrono anche queste funzioni”. È un pensiero pienamente condivisibile, perché l’identità comunque è tale se non se ne sta da parte, ma riguarda, nel modo opportuno, il concreto e lo specifico della vita accademica. Diversamente l’identità si sublima nel mondo di cosiddetti valori, che si prestano ad essere riveriti al punto di essere rispettosamente lasciati dove stanno.
Ogni identità, del resto, seppur riferita a valori e portatrice di valori, è in se stessa qualcosa di più, una realtà viva, una matrice storica, un evento ricco di dimensioni che precede ed eccede sempre i suoi stessi fini e le sue operazioni, le sue funzioni e le sue strutture. L’identità è come l'”anima” dei viventi, che genera, innerva, sostiene, regge e corregge l’agire. Insomma è appunto una realtà viva che non si può circoscrivere in luoghi, funzioni, iniziative e discorsi, come una linfa vitale che scorre tra le cose, le azioni e soprattutto le relazioni. Un’identità se c’è si vede e si percepisce; inoltre un’identità è sempre reale e ideale insieme: esiste, pulsa ed è orientata al suo futuro. Niente di meno statico, ripetitivo, scontato di una identità, dunque.
Tutto ciò vale in modo esponenziale per un’istituzione cattolica e per l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Forse è troppo dire che questo genitivo è soggettivo? No, perché — come disse chiaramente padre Gemelli — quella è la Radice e la Sorgente dell’U.C.; lì è il cuore dell’identità, della più bella e sapiente delle identità. Che è come dire che si tratta di una identità non nominale, ma reale, anzi personale. Credo che se non si porta la cosa a questo livello, il discorso dell’identità — da parte di chiunque — nasca ideologico. Se la radice dell’identità dell’U.C. è una Persona, l’identità è una questione di partecipazione e di appartenenza; per questo è anzitutto una realtà viva e non una commemorazione, un discorso, un programma. Ferrini, Toniolo, Barelli, e tanti altri lungo la storia dell’U.C., questo lo sapevano bene e lo vivevano e per questo hanno lavorato e sofferto. In loro l’identità si percepiva e si vedeva.
Di qui ne viene, a mio avviso, una premessa metodologica, ovvia in se stessa ma alla quale si fa un’altrettanto palpabile resistenza; ovvero che l’U.C. e la sua identità non sono proprietà di nessuno, ma sono una grande eredità affidata ad ogni generazione perché venga coltivata e fatta fruttare, come l’evangelica vigna. Detto in termini autorevoli e aggiornati, anche l’U.C. proviene “ex corde Ecclesiae”, secondo il titolo della costituzione apostolica che nel 1990 Giovanni Paolo II ha affidato a tutte le università cattoliche per aiutarle appunto a vivere e attualizzare la loro identità. Un documento raramente citato, poco conosciuto; insomma maltrattato rispetto alla sua portata teorica e pratica. È la prima volta che il magistero papale ha redatto un documento specifico per le università cattoliche, in cui è recuperata la saggezza di tutto il magistero papale postconciliare sull’argomento e che offre in modo sistematico e intellettualmente raffinato le coordinate per pensare e attuare l’identità. Il corpo del documento è intitolato “Identità e missione” ed è distribuito in due momenti, “Identità dell’Università cattolica” e “La missione di servizio dell’Università cattolica”.
È ragionevole occuparsi dell’identità senza ripartire da qui? Si può accettare che questa voce autorevole sia emarginata in ossequio alla damnatio memoriae del magistero di Giovanni Paolo II che qualcuno vorrebbe (da Theobald a Melloni, per non fare nomi)? Oppure quel tenerci all’eredità affidata non dovrebbe con intelligente umiltà e con volontà sincera ascoltare e confrontarsi con ciò che la Chiesa con la voce di un papa ha maturato e insegna? L’oggi di papa Francesco — cui giustamente accenna Giovagnoli — non dovrebbe essere una remora, bensì un incentivo a riandare a quello che già dovrebbe essere acquisito, per comprendere l’eventuale aggiornamento. Perché — è il caso di ricordarcelo — il magistero di un papa non è un patrimonio autarchico ed escludente, ma un tragitto entro una successione apostolica che ne definisce il contesto interpretativo.
Per concludere, la questione dell’identità non è affidata unicamente al magistero papale e tanto meno a una deduzione precettistica. Il magistero è parte integrante di un processo più complesso, in cui esso si intreccia con la coscienza storica di una certa istituzione, maturata attraverso la sua concreta esperienza, il suo dibattito interno e anche i suoi conflitti interni (se vissuti con dignità). La storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore è una testimonianza vivente di quell’intreccio. La prima preoccupazione dovrebbe essere di non scioglierlo, esiliando il magistero nell’ambito della letteratura devota e riducendo il dibattito interno a scontro tra fazioni, cioè azzerandolo.
D’altra parte, l’U.C. attuale non è priva di fermenti positivi. L’Iniziativa Culturale svoltasi in questi ultimi anni ha testimoniato da parte di molti docenti il desiderio di partecipare in prima persona all’elaborazione di una comune identità a partire dal concreto lavoro accademico, iniziando dal basso e in uno spazio aperto a tutti i docenti; può essere un’indicazione di cammino. Infine, è stato appena pubblicato un volume a cura di mons. C. Giuliodori (Ordo sapientiae. Per un dialogo fecondo tra teologia e saperi, Vita e Pensiero 2017), in cui sono raccolti contributi teologici di livello proposti all’U.C. o elaborati in U.C. su un nodo essenziale dell’identità: quello dell’unità e della pluralità dei saperi; un importante lavoro di riflessione è già in atto.