Nel mezzo della storia de I promessi sposi, al cap. XIX, entra in scena il personaggio più infernale del romanzo, l’Innominato. Manzoni, per presentarcelo, fa appello a chi nella letteratura italiana, già si è occupato di “Inferno”: Dante Alighieri.

Al principiar del suo viaggio, Dante descrive con questi celeberrimi versi il luogo: Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura,/ che la diritta via era smarrita/ Ahi quanto a dir qual era è cosa dura/ esta selva selvaggia e aspra e forte. Il suono aspro e petroso di questi versi riecheggia nella descrizione della valle dell’Innominato: la valle è angusta e uggiosa, tutt’intorno ci sono un’aspra giogaia di monti, un mucchio di massi e di dirupi e un andirivieni di tane e di precipizi. Il nostro protagonista manzoniano sembra essersi scelto un luogo infernale, per poter seminare il suo odio e la sua rabbia per la vita. 



Quando ci si trova nel Male più profondo, nessuno sa come uscirne né tanto meno ci si ricorda di come si sia entrato: Io non so ben ridir com’i’ v’intrai. Manzoni non vuole solo far tornare alla mente del suo lettore l’Inferno dantesco in modo generico, ma sceglie di descrivere il luogo in cui vive il suo selvaggio signore, utilizzando gli aggettivi e le caratteristiche topografiche di Malebolge: luogo è in inferno detto Malebolge, /tutto di pietra di color ferrigno. L’immaginifica costruzione dantesca si staglia su una ripa dura, divisa in dieci valli; tutte collegate da ponticelli che conducono ad un pozzo centrale in un susseguirsi di roccia e scogli, argini e fossi. I fraudolenti che si trovano in questa fascia infernale, dice Dante, non hanno peccato seguendo l’impulso, ma la ragione. Il Poeta sembra suggerirci che c’è un peccato peggiore del peccato involontario: il peccato scelto! 



È condannato alla stessa vita l’Innominato che ha scelto il Male, pur potendo allontanarsene, e che si è barricato su un’altura: nessuno è più in alto di lui…si può solo trovare vita, cercando tra le schegge e macigni, erte ripide, senza strada e nude di quella vallata. Qui però la vita è Male, è malata. Gli abitanti sono gli scagnozzi dell’Innominato: Montanarolo, Tanabuso, Griso, Squinternotto; tanto che l’autore commenta l’ingresso del povero don Abbondio in quel Regno, strizzando l’occhi alla Commedia: Dante non istava peggio nel mezzo di Malebolge. È accerchiato come Dante e Virgilio in Malebolge tra le spire dei diavoli: Malacorda, Scarmiglione, Alichino, Calcabrina, Cagnazzo, Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto, Graffiacane, Farfarello e Rubicante. E’ interessante la presenza dei soprannomi che entrambi gli autori utilizzano per gli abitanti del Regno del Male: quando lo si segue, ci si dimentica della vita precedente e del proprio nome, per cui si ricorre a un soprannome. Ci si trasforma, tutto diventa di sapore aspro come le rime di Dante e “accio” come i dispregiativi di Manzoni: ragazzaccio; torrentaccio, castellaccio; caporalaccio; bravaccio e visaccio. Il Male è ovunque e lo si ricorda nelle insegne delle taverne nei Promessi sposi, Mala-notte e nella Commedia con Mala-corda, Male-branche, Male-bolge. Ma, allo stremo delle forze nel I canto, Dante invoca aiuto: Miserere di me. La sua voce umana risuona nella landa desolata, in cui si è ritrovato. “Abbi compassione per me” ripete Lucia all’Innominato: Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia. Si apre la crepa: misericordia, compassione, amore: Dio può perdonare? Può perdonarmi? Ma come si può fare, se ho l’inferno nel cuore? 



Ecco il passaggio cruciale: Manzoni si inchina alla maestria di Dante e alla sua capacità scenografica di creare l’oltre-mondo infernale, ma qui fa un passo in avanti: l’Inferno per Dante è innanzitutto un luogo, da buon medievale qual è, dà concretezza al Regno del peccato; per Manzoni invece l’Inferno è una condizione, uno stato in cui versa la vita “miserabile” del peccatore, come dice l’Innominato al Cardinal Borromeo. Il Regno del Male nei Promessi sposi è l’Innominato stesso che si è rinchiuso nel suo nascondiglio e da cui spia chi osa avvicinarsi a lui. Ma “il lavorio del cuore” e l’inquietudine per una vita mal spesa non si possono acquietare. Lucia, la luce che a poco a poco illumina le tenebre del castello, e soprattutto il Cardinale aprono la ferita. L’abbandono del nostro protagonista nelle braccia del Cardinale è l’inizio del Paradiso: alla portata di tutti.