Un nuovo esercito di chierici si affaccia al balcone della storia contemporanea. Non solo perché asserviti, ma soprattutto perché intrinsecamente clericali, preteschi nei modi e nell’anima — e perfino nella fisiognomica. 

L’attacco all’ultimo trentennio di vita dell’Università Cattolica delle ultime settimane non sorprende. Anzi appare semmai un pretesto, tenuto conto che, semmai, se ci fosse un appunto da fare all’ateneo di padre Gemelli, sarebbe proprio che sta correndo il rischio dell’insignificanza culturale.



Ma la questione interessa poco ai detrattori. Sanno bene che le sorti del Paese ormai si giocano nei palazzi del potere e delle curie. L’università è invece un pretesto, una patente per potersi iscrivere al ristretto circolo dei chierici. 

Lo schema è sempre lo stesso: la patente reca come imprinting anagrafico l’essere “democratici” e “moderni”. Ciò che non è conforme è ovviamente fascista e reazionario.



Così era fascista Gemelli e reazionario il suo progetto culturale, anche se — per una sorta di eterogenesi dei fini (categoria che agli storici piace molto — il risultato poi è stato diverso e perfino contrario. Nell’ateneo dei fascisti si è formata la prima classe dirigente democratica. Ma questo attiene al passato. Oggi occorre dire altre cose, indicare mandante ed esecutori di un progetto culturale antimoderno e antidemocratico, di una crociata contro il mondo che contrasta con la liberalità pretesca di chi tutto accomoda e tutto blandisce. Ovviamente pro domo sua. 

Il mandante sarebbe nientemeno che un Santo, quel Giovanni Paolo II che aveva in mente una restaurazione del Regno di Cristo qui e ora. Gli esecutori, quella truppa di fanatici cresciuti alla scuola di don Giussani. Lo strumento — uno degli strumenti — l’Università dei cattolici italiani che nel “Medievalismo” aveva una guida ed una strategia.



Sembra di aver fatto passi indietro di decenni. Non solo perché la storiografia ha umilmente ricostruito la complessità di una vicenda articolata, in cui si sono sovrapposti piani diversi, e in cui l’attenzione alle molteplici sfaccettature degli uomini ha prestato ascolto.

Ma i chierici non sono né umili né attenti alle sfaccettature. Dispensano patenti, condanne e assoluzioni. Non possono neppure concepire che il lavoro dello storico è quello di comprendere e assai poco giudicare. 

D’altra parte non possono neppure ammette che vi possa essere una variegata pluralità di esperienze culturali — e pure di strategie culturali. Ciò che sfugge alla loro comprensione viene condannato come eresia.

L’eresia principale, nel nostro caso, è il tentativo, lungo un secolo, di comprendere quale ruolo i cattolici potessero avere e potranno avere nella società secolare, non come anonimi bigotti attaccati sudditamente alle tonache dei preti, rinchiusi nelle cappelle a pregare e superflui al mondo, ma come padri e madri, professori, medici, operai, impiegati… insomma come cittadini.

Il tema della cittadinanza della fede è stato a lungo dibattuto soprattutto negli anni Novanta. Certo, gli anni di Giovanni Paolo II e dello sfortunato “Progetto culturale”. Oh, gli stessi che ora vorrebbero ricacciare il tema dell’identità dentro le catacombe, allora pontificavano, e assai, in convegni, congressi e assise varie. 

La questione resta, e intatta, nonostante i tentativi di rinchiuderla nella sfera innocua della coscienza. Questa è la stagione dei laici clericalizzati, che parlano come i preti, strascicando le parole come nella più becera omiletica, che strabuzzano gli occhi quando parlano della Chiesa moderna (e citano assai poco Gesù Cristo), della democrazia e via dicendo. Spezzano la storia in segmenti e in pontificati, promuovendo l’uno e bocciando l’altro… Per ora, in verità, sono quasi tutti bocciati escluso Papa Giovanni (perché ritenuto innocuo) e ovviamente il Papa regnante. Resta il silenzio della Cattolica, non si capisce se perché condivide la tiritera, se per paura o se perché ha poco da dire. In questo caso, altro che egemonia reazionaria. Essa potrebbe esser dunque pronta a cadere nelle mani dei chierici. Si aprirebbe così una nuova stagione di formazione di mezzi uomini e mezzi preti, pronti a benedire, assolvere e condannare.