E’ l’uomo dell’incontro, dunque anche dello scontro: ogni incontro, quando è sincero, genera uno scontro. Dallo scontro, poi, rifiorisce l’incontro: una sorta di gravidanza inattesa, di stupore improvviso, di spavento. Il primo incontro tra Papa Francesco e il popolo sta ancora racchiuso nel grembo di una parola così semplice d’apparire inusuale: Buonasera! Materia d’augurio, bisbigliata a metà marzo ad una piazza in festosa attesa del suo pastore. Una porta si era appena chiusa, un’altra si stava aprendo. In quell’augurio si nascondeva la grammatica di Francesco, il Papa dell’incontro: dopo aver frequentato Dio, è Dio stesso a fissare appuntamento nell’uomo a chi nutrirà il desiderio d’incontrarLo.
Molto più della teologia — che pure serve per dare una forma al sapere — sono gli incontri a sconvolgere la vita: “Dio ti cerca, ti trova. Non te lo perdere, per non perderti”. E’ l’incontro di Cristo con Levi, pennellato dal genio caravaggesco: non è più un caso che in quella scena di pittura, intrappolata di luce, Francesco intraveda la sua vocazione. La sua personalissima ricerca del volto di Cristo. Che — è storia di una restituzione — riaccende nel volto di coloro che incontra. E che, una volta incrociati i loro sguardi con quelli di Francesco, raccontano di una sorpresa: ad incontrare il papa sembra di scoprire pagine di storia, quando tutti pensavano non ci fosse più nessuna storia da raccontare. Possibilità di vita nel momento esatto in cui non ci si aspettava più nulla. Quasi quell’incontro avesse riacceso una luce e, illuminando l’istante, avesse fatto percepire giusto una possibilità in più: “Sei ancora molto più grande di quello che dicono di te, di quello che hai fatto!”.
Chi lo incontra, anche solo per un istante, giura che dopo quell’incontro la vita non è più stata quella di prima. Ho incontrato Francesco. Papa Bergoglio raccontato dai protagonisti del nostro tempo (Paoline 2017) — il libro scritto da Alessandra Buzzetti e Cristiana Caricato — è la celebrazione dell’incontro: uomini e donne che hanno incrociato Francesco, il Dio nascosto nell’incontrare Francesco. A colpire sono i suoi tratti tipici dell’umiltà e dell’inatteso. “Umiltà che deriva da un’indipendenza interiore: si permette di essere umile perché interiormente è indipendente” dice Annette Schavan, ambasciatore tedesca presso la Santa Sede. Amori e incontri capaci di generare altrettanto: “E’ certo che dialogo e amore non possono che generare altro dialogo e altro amore. Il potere dell’umiltà è sorprendente” dice Bartolomeo, patriarca ecumenico di Costantinopoli.
Confessioni-ammissioni che nulla hanno a che vedere con una tentata beatificazione dell’uomo-Bergoglio. Il loro umile raccontarsi è dipanare il segreto di un pontificato così semplice che, ai sapienti, pare banale. Quando, invece, l’evidenza è un’altra: “Riesce a far percepire alla gente la presenza di Dio in un modo immediato, concreto” (G. Weigel). Nel più fedele accasarsi alla tradizione ignaziana: ciò che importa non è conquistare una terra ma aprire un processo. Non occupare stanze ma aprire porte: “Educare al rischio significa educare al nuovo — racconta Luigi Berlinguer —. E bisogna avere il coraggio di fare cose nuove”. Novità che filtrano attraverso la grazia di un incontro a quattr’occhi, il rintocco di un’inquietudine, la predilezione di uno sguardo.
A chi ne è stato fatto dono, l’ammissione è spontanea: “Si ha l’impressione, in quel momento, che il Papa si stia occupando proprio e solo di chi ha davanti”. L’uomo e la donna, prima di tutto il resto: al cuore di tutto. Perché ogni teologia, dimentica dell’incontro, diventa incomprensibile: carta straccia, lingua foresta, parola vuota. Un dialogo di mani e di piedi: è la teologia di Francesco.
Nulla è così radicale come un Dio che s’identifica con i più vulnerabili: “Dio sa che il suo popolo è imperfetto, ma non lo manda senza protezione”. Materia semplice un incontro: eppure, per qualcuno, occasione di salvezza. Roba seria: attestazione evidente di una perpetua connessione sentimentale con il popolo.