Dal dolore può nascere una positività inattesa. Come nel travaglio del parto, un’esperienza di sofferenza che prelude alla nascita di una nuova vita. Ma questo non accade per un meccanicismo senza volto, accade perché qualcuno decide di donare un po’ della sua vita. Decide di donarsi, a imitazione del sacrificio di Gesù che sulla croce si è caricato le sofferenze del genere umano.
Di questa imitazione è possibile incontrare nella storia molte testimonianze, spesso vissute nel silenzio, solo apparentemente minori, e invece portatrici di una grande ed eloquente positività, specie nell’epoca del cinismo, della rassegnazione e del ribellismo sterile che stiamo attraversando.
Arriva da Ponte Chiasso, estrema propaggine della provincia di Como al confine con la Svizzera, una storia tutta al femminile. Donne che aiutano altre donne, dando vita a un’opera di carità che in sessant’anni ha rigenerato centinaia di esistenze. Nasce dal cuore di Irma Meda — donna energica e generosa, animata da una fede profonda, mai esibita ma silenziosamente rivelata come origine di ogni decisione —, che viene scossa dalla notizia del ritrovamento di una ragazzina sedicenne trovata morta in un sottoscala, forse stroncata dal freddo. Una delle tante giovanissime lavoratrici frontaliere che per campare facevano la spola tra Italia e Svizzera, una vicenda drammatica che affonda le sue radici in un fenomeno diffuso che coinvolgeva tante giovani costrette ad affrontare condizioni rischiose e di grave precarietà per non perdere il lavoro oltrefrontiera. La Meda decide così di aprire un luogo di ospitalità per questa umanità dolente: nel 1957 nasce la Casa della Giovane, che diventa un focolare, una comunità dove trovare un letto per dormire, una mensa per mangiare ma soprattutto volti amici a cui guardare e da cui essere guardati con un amore senza confini. Un abbraccio nel quale trovare l’energia per ripartire anche dopo dolorose cadute, nel segno di una inesauribile positività.
L’esperienza di Ponte Chiasso si innesta sul tronco di un’opera nata alla fine dell’Ottocento per proteggere le donne in situazioni di fragilità, spesso prive di diritti e protezione, l’Associazione cattolica internazionale al servizio della giovane. Lavoratrici sfruttate e in difficoltà, ragazze madri rimaste sole, giovani con problemi psichici o segnate dal disagio, minori maltrattate e, negli anni più recenti, immigrate provenienti dal Sud del mondo in cerca di un destino migliore: è il campionario di umanità che ha abitato e continua ad abitare le strutture nate dal cuore di Irma Meda e di coloro che ne hanno raccolto l’eredità, raccontate con intensa partecipazione da Laura D’Incalci nel libro Io ti porto a casa (Itaca 2017), dove molte di loro prendono la parola per dare testimonianza di quanto uno sguardo d’amore sia stato decisivo nel cambiare la direzione di un’esistenza.
Tra le pareti della Casa della Giovane anche un piccolo gesto assume un valore infinito. Ed è commovente leggere come quella casa che ha avuto inizio da una morte, da anni è diventata laboratorio di vita nuova.