Mariolina Ceriotti Migliarese è il medico cui tutti ci affideremmo volentieri: neuropsichiatra e psicoterapeuta, lavora con bambini, ma anche con adulti e coppie, oltre ad occuparsi di formazione di insegnanti e genitori. All’attività professionale affianca un’esperienza diretta della materia di cui scrive: madre di sei figli di cui cinque maschi, ispira immediata fiducia per il suo equilibrio e, oltre che per la competenza professionale, per il buonsenso, direi persino feroce, che si percepisce subito. Ha all’attivo ormai molti libri sull’universo femminile, al quale ora ha fatto seguire Maschi (Ares, 2017).
Dottoressa Ceriotti, di “crisi del maschio” si parla da un bel po’ di tempo; eppure, nel suo Maschi sembra spirare qualcosa di nuovo, anche se è difficile definirlo con precisione. In che cosa consiste questa novità?
I libri che parlano del maschile o del femminile tendono spesso a sottolineare il valore specifico di un sesso a scapito dell’altro. Per quanto mi riguarda ho a cuore soprattutto la relazione: forse perciò la novità consiste nell’aver cercato di scrivere qualcosa sul maschile rivolto nello stesso tempo e con la stessa intenzionalità sia all’uomo che alla donna: è lo stesso tentativo che ho fatto nel mio libro precedente, Erotica e materna, che aveva a tema il femminile. Mi sembra che non sia più possibile, soprattutto oggi, parlare di un sesso senza implicare profondamente l’altro, senza interpellarlo, senza coinvolgerlo. Il maschile implica il femminile, e viceversa; sono i due poli dell’umano: l’uno richiama l’altro, l’uno contribuisce a definire l’altro. Ho cercato di trasmettere questa necessità.
Ma, secondo lei, è più semplice, oggi, nascere donna o nascere uomo?
Credo che nessuna delle due possibilità oggi sia semplice, perché abbiamo perso i riferimenti che hanno sempre guidato il nostro percorso di identificazione: la percezione del corpo e delle sue caratteristiche come realtà vincolante, la percezione del valore e della necessità della differenza. Questo ci rende incerti e confusi anche sul piano educativo: per timore di condizionare i nostri figli, abbiamo smesso di orientarli.
Sembra che un maschio sia oggi molto più vincolato di una femmina a certe aspettative: una bella laurea, un lavoro prestigioso, il successo. Stereotipi duri a morire.
Direi piuttosto che oggi siamo diventati tutti, uomini e donne, schiavi delle stesse aspettative… Sono moltissime le donne che si sono allineate al maschio nel mettere al primo posto carriera e successo. La nostra cultura ci ha insensibilmente portato a sviluppare una progettualità esclusivamente individuale, e a livello individuale avere successo è per forza l’obiettivo principale. Ma l’incapacità di investire nelle relazioni è la fonte stessa della diffusa infelicità che tutti respiriamo: c’è dunque un estremo bisogno di sviluppare pensieri nuovi, che diano alle relazioni familiari e sociali lo spazio che meritano; questi pensieri hanno bisogno sia dell’apporto maschile che di quello femminile, finalmente alleati nella ricerca di una vita davvero vivibile per tutti. In questo senso, un argomento come la conciliazione lavoro-famiglia non è affatto un tema solo femminile!
Lei intitola un capitolo “La potenza, cuore del maschile”. Non teme l’impopolarità in questi tempi così violentemente politically correct?
Potenza non è una brutta parola: è sinonimo di forza psichica, di capacità di decidere, di energia vitale da investire nella vita; è segno della creatività del maschile. Dovremmo invece temere la prepotenza, che è una deriva della forza buona di cui parlo; e dovremmo temere l’impotenza, che rappresenta il fallimento della creatività e nasce dal ripiegamento narcisistico così frequente nel maschio di oggi. La potenza è generosità e capacità di dono, la prepotenza è distruzione, l’impotenza è sterilità.
Nel suo libro commenta, fra l’altro, anche un passo di San Paolo, Efesini, 5, 21-23, che di solito si ascolta con un po’ di fastidio, perché sembra l’antimodernità per eccellenza, visto che si raccomanda alle mogli di essere “sottomesse” ai loro mariti.
Anch’io ho spesso ascoltato questo brano con un po’ di fastidio: il riferimento alla “sottomissione” della donna mi è sempre sembrato poco digeribile. In realtà, è un brano molto ricco, in cui Paolo invita soprattutto l’uomo a sviluppare una vera capacità di amore: non un amore generico, sbiadito, ma un vero amore “maschile”, tale da rendere possibile alla donna una disponibilità fiduciosa nei suoi confronti.
Lei assomma l’esperienza professionale (neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta) a una vita familiare molto ricca, con cinque figli maschi; quindi, chi meglio di lei può rispondere alla domanda: qual è l’errore che una madre di figli maschi non dovrebbe mai e poi mai commettere?
Se dovessi scegliere una cosa sola direi questo: l’errore da non fare è quello di imprigionare il figlio a sé. La madre dovrebbe avere chiaro che il figlio non le appartiene, ma le è affidato perché lo aiuti a crescere capace di quell’amore che dovrà dare ad un’altra donna.
Tutte le nuore d’Italia la applaudono, dottoressa. Nel suo saggio racconta di un sondaggio, scherzoso ma non troppo, condotto fra le sue conoscenze femminili. Ce ne parla?
Ho fatto un sondaggio WhatsApp tra colleghe, amiche, amiche di mia figlia, con questa domanda: per il mio nuovo libro sul maschile, mi servono i primi tre aggettivi che vi vengono in mente per definire come vorreste un uomo. Ho avuto una risposta rapida, divertita ed entusiasta. In pole position si sono piazzati: generoso, tenace, intraprendente, affidabile; molto gettonati anche il buon carattere (allegro, autoironico, ottimista) e l’apertura mentale (curioso, intelligente, colto): sono risposte trasversali rispetto all’età e fanno emergere come oggetto del desiderio un uomo decisamente maschile, “cavalleresco”, generoso e capace di iniziativa, che abbia meno “paranoie” rispetto alle donne. Un uomo capace anche di dare protezione e sicurezza. Mi sembra che le donne continuino a cercare nell’uomo proprio l’uomo, con le sue doti maschili: non tanto qualcuno con cui capirsi, ma piuttosto qualcuno con cui avere un rapporto che le arricchisca.
Osservando i gruppi di adolescenti e di ventenni, balza agli occhi che tendono a stare maschi con maschi, femmine con femmine. E questo, anche in tempi come questi in cui, apparentemente, i giovani sono liberi come non mai. Come si spiega?
La capacità di relazione con chi è, a qualsiasi titolo, diverso da noi, richiede per prima cosa un rinforzo dell’identità. L’identità precede sempre la relazione: se non sono sicuro di me, di ciò che sono, che penso e che sento, tendo ad avere timore di chi è differente da me e non so come avvicinarlo. Ma la differenza più irriducibile è proprio la differenza sessuale, che non è una semplice qualità, ma una specificazione del nostro essere persona; la prima necessità è dunque quella di rinforzare la propria identità attraverso il confronto con chi ci è simile, per capire cosa vuol dire essere maschio o femmina. Quella del confronto con lo stesso sesso è un’esigenza molto forte soprattutto in preadolescenza, quando i maschi, anche in una classe mista, preferiscono spontaneamente stare con i maschi e le femmine con le femmine. La spinta ad una promiscuità precoce, indotta dalla nostra cultura, tende a rallentare il processo di identificazione e dunque a rendere paradossalmente più lungo e difficile il rapporto libero e rispettoso tra i sessi.
C’è una frase molto bella, verso la conclusione del volume: la donna ha profondamente bisogno di fidarsi dello sguardo dell’uomo. Eppure, a me sembra che le donne oggi temano soprattutto lo sguardo critico, indagatore, delle altre donne…
Lo sguardo dell’uomo è una dimensione centrale per la donna, a partire dall’infanzia, quando le basi della stima di sé sono poste da un padre che sa vederla e apprezzarla non solo in quanto figlia, ma in quanto figlia femmina. Crescendo, la donna continua a cercare conferme del proprio valore nello sguardo maschile; valore che non è legato solo al suo apparire bella o desiderabile, ma a tutto il suo essere persona, con i propri inviolabili pensieri e desideri. Purtroppo gli sguardi che incontra non sono tutti uguali: gli avvenimenti di cronaca dell’ultimo periodo, con le denunce sempre più frequenti di molestie e di violenze, ci parlano purtroppo di uomini che vedono le donne soprattutto come mezzi per soddisfare le proprie esigenze sessuali o affettive. Il modo in cui un uomo guarda una donna ha bisogno di maturare e di venire educato, per vedere la donna nella sua realtà completa di persona: una persona al femminile, che grazie a lui e al suo dono maschile potrebbe anche diventare madre.