Sono trascorsi cinquant’anni da quel fatidico 1968 ed è naturale chiedersi cosa abbia realmente rappresentato il movimento giovanile e studentesco che ha investito come uno tsunami università e licei, da New York a Roma, Milano, Parigi, Berlino. Decine di mostre, tavole rotonde, seminari, articoli ed eventi sono lì a dimostrarci che il ’68 conserva il suo fascino “maledetto” a distanza di mezzo secolo. Ma chi conosce o ricorda ciò che è accaduto in quei mesi al di là della cortina di ferro? A parte la “primavera di Praga” e la spietata repressione di quel movimento libertario messa in atto nell’agosto del 1968 dall’Unione Sovietica e dai Paesi satelliti, poco o nulla sappiamo dei movimenti giovanili di controcultura che investirono i paesi comunisti dell’Est Europa, proponendo quella musica rock osteggiata dai loro governi. La mostra “Quando infuriava il rock. Il ’68 all’Est. Dissenso e controcultura”, organizzata da Memorial Italia, che sarà inaugurata il 23 ottobre nell’atrio dell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano, copre finalmente questo vuoto e ci permette di conoscere un fenomeno politico e culturale che, seppure sconfitto e represso, avrà conseguenze a lungo termine.
Nel 1967 i Rolling Stones si esibirono in due concerti nel Palazzo della Cultura di Varsavia, scatenando il finimondo. Cinquantamila giovani cercarono di entrare nella sala distruggendo gli arredi del Palazzo. Furono gli unici due concerti della mitica band inglese oltre cortina, in Paesi che cercarono in ogni modo di stroncare con la forza il bisogno dei giovani di esprimersi attraverso le nuove mode che si andavano diffondendo nell’Europa occidentale. Nel 1965 il governo di Erich Honecker mise al bando diversi gruppi musicali presenti in Germania orientale e, durante una manifestazione di protesta a Lipsia, caricò i giovani con cani e idranti, spedendone 97 ai lavori forzati. La stampa di regime stigmatizzò quelle nuove mode, lanciando una campagna contro i cosiddetti “Amateur Gammler”, ossia i capelloni, marchiati come nemici dello Stato.
Erano anni in cui anche in Italia il cosiddetto “mondo beat” affermava con forza la diversità dai propri padri. E sempre in Italia c’erano giornalisti come Paolo Bugialli che proponeva di disinfestare quei giovani capelloni con forbici e insetticida. Ma nulla a che vedere con la repressione che verrà messa in atto nei paesi dell’Est Europa. Nell’Unione Sovietica e in altri Paesi comunisti, fin dalla prima metà degli anni 60, molti giovani furono attratti dalla Beatlemania: ascoltare la musica dei Beatles non era un semplice passatempo, bensì un modo diverso di vivere. Ma nei Paesi del Patto di Varsavia il rock era sicuramente visto come prodotto degenerato della decadente cultura occidentale e, pertanto, ai giovani non rimaneva altro che forzare i divieti, sfruttare gli interstizi di una censura di Stato attenta e repressiva. Milioni di loro riuscirono a captare Radio Luxembourg, l’emittente inglese che trasmetteva i successi discografici di quegli anni, ma in generale i giovani dovettero inventarsi metodi artigianali per ascoltare la musica rock. In Polonia si producevano cartoline musicali più grandi del normale, sul cui retro era inserito un disco, mentre in Urss il sistema fu ancora più “fantasioso”: le canzoni di Elvis Presley e Louis Armstrong venivano incise su vecchie lastre di raggi x, economiche e facilmente reperibili negli ospedali.
Teniamo conto che perfino in Gran Bretagna era raro ascoltare la musica rock sui tre canali della Bbc, al punto che il 28 marzo del 1964 Chris Moore e Simon Dee annunciarono l’inizio delle trasmissioni dalla MV Caroline, una vecchia nave passeggeri danese, posizionata al largo delle coste dell’Essex, destinata a divenire in breve la più famosa radio pirata al mondo. Posizionata in acque internazionali, la Caroline poteva aggirare le rigide leggi britanniche e trasmettere musica rock 24 ore al giorno.
Nei Paesi dell’Est, ad un certo punto, le autorità governative dovettero allargare un po’ le maglie della censura, tollerando la pubblicazione di riviste musicali e l’apertura di esercizi in cui si esibivano band locali. Gli Optimist furono i primi a suonare la musica rock in Estonia. Nel 1963 il primo Beat festival si svolse in Ungheria, mentre i Klaus Renft Combo, che avevano mosso i primi passi a Lipsia nel 1958, in breve divennero gli idoli dei giovani tedeschi orientali. Uno dei membri della band, il poeta e cantautore Wolf Biermann, originario della Repubblica Federale, verrà perseguitato dalla polizia segreta per un disco inciso da solista nel 1968, in cui si rivolgeva ai “deboli e ai vigliacchi che sostengono un sistema ingiusto”. E nel 1976, dopo un concerto davanti agli operai della IG Metall a Colonia, il governo di Honecker decise di espellerlo e ritirargli la cittadinanza della Germania orientale.
In generale, proprio durante il 1968 oltre cortina si chiusero tutte le scarne aperture degli anni precedenti. Della primavera di Praga sappiamo come andò a finire, ma anche in Polonia il governo di Gomulka reagì agli scioperi dei professori e degli studenti universitari licenziando migliaia di oppositori, soprattutto ebrei, dall’amministrazione statale. Perfino in Jugoslavia Tito riuscì a isolare quegli intellettuali e professori universitari che si erano raccolti intorno ad alcune riviste, mettendo a tacere l’opposizione critica in cambio di maggiori autonomie alle singole repubbliche. In Urss, addirittura, sette dissidenti che si ritrovarono sulla Piazza Rossa per esprimere solidarietà ai manifestanti cecoslovacchi repressi dai carri armati sovietici, furono arrestati e condannati alla detenzione in campi di lavoro e in ospedali psichiatrici. Il dissenso politico, la controcultura, la musica rock erano stati dunque repressi, ma la via era tracciata. Occorreva solo attendere qualche altro anno.