E’ un piccolo caso editoriale il libro Stupro a Pagamento di Rachel Moran (Round Norman editrice, 2018). Libro densissimo, commovente, consigliatomi via internet da un’amica femminista, la cui recente presentazione a Rimini è stata a cura dell’associazione Papa Giovanni XXIII, che da sempre si batte per togliere le ragazze, in specie straniere, dalla strada; e che toglie il velo al mondo della prostituzione, velo patinato di “libera scelta”, di “escort patinate e sofisticate”. Nulla di più falso: la prostituzione è terribile per una donna. L’autrice, prostituta dai 15 ai 22 anni e poi diventata giornalista, narra la sua vicenda senza mezzi termini: “Quando un uomo ha preso un accordo per un rapporto sessuale e il prezzo che è disposto a pagare, molto spesso, piuttosto che no, non sarà soddisfatto di stare nei limiti fissati dallo scambio sesso-denaro. Questo comporterà che lui…” (qui l’autrice fa un’accurata descrizione di cose che al popolo comune sono perversamente immaginabili ma appaiono evidentemente realistiche). “In queste situazioni senti una nausea profonda e l’abilità nella prostituzione è la capacità di controllare il riflesso del vomito”. 



Ma anche per le escort non è un quadro da pretty woman. “Nella prostituzione di strada c’è una possibilità minima di poter scegliere. Ma alla fine c’è la possibilità di valutare l’atteggiamento di un cliente e le implicazioni che ne derivano per noi. Non è così nei centri massaggi o per le escort. Se si lavora in proprio, non si può valutare adeguatamente un uomo attraverso il filo del telefono”. Insomma, nella prostituzione a qualunque livello i rapporti non sono come si vedono nei film, dove il bell’imprenditore va con rispetto dall’operatrice del sesso e magari la sposa, ma sono troppo spesso insultanti, violenti, colmi di sessualità repressa. 



E la prostituzione è solo la punta dell’iceberg: “Conosco per esperienza il danno e l’umiliazione dello strip tease e della pornografia. Non sono delle industrie innocue. E, ad ogni modo, non sono industrie di tipo diverso; appartengono alla stessa e unica grande macchina della prostituzione. Un meccanismo che riduce fortemente il valore delle donne e lo fa piazzando al suo stesso vertice la mercificazione dei loro corpi”. 

Insomma, “Essere prostituta è umiliante abbastanza; regolamentare la prostituzione significa legittimare questa umiliazione, e assolvere coloro che la infliggono. E’ un insulto straziante”. Come  pensare allora che la prostituzione sia una possibilità di gestire il corpo liberamente, una libera scelta, come sosteneva una parte minoritaria del mondo femminista? “Per poter normalizzare la prostituzione è necessario sanitarizzarla. La sua natura intrinsecamente dannosa deve essere a tutti i costi nascosta”. Come ha risposto una ex-prostituta all’affermazione che fare la prostituta non è né meglio né peggio che girare gli hamburger al McDonalds, “Al McDonalds non sei tu la carne; nella prostituzione sei la carne”. Troppo spesso arrivano al pubblico informazioni travisate sulla prostituzione, e come per tanti abusi, si crede in buona fede di risolvere i problemi legalizzando. “La gente si concentra così tanto sulle differenze tra le donne prostitute e le vittime di tratta che quello che dimenticano è che ci sono molte più analogie che differenze. Probabilmente è che alla donna vittima di tratta viene strappata la sua autonomia sessuale, quella della donna prostituta viene comprata. Entrambi i gruppi di donne hanno perso la loro autodeterminazione sessuale”.



Questo libro aiuta il dibattito; fa capire che la normalizzazione e l’accettazione della prostituzione, magari fatte in buona fede, sono la strada per la banalizzazione: ne fa le spese chi è in vendita.