Nel centro di Bologna, a pochi minuti da Piazza Maggiore, c’è una piccola via, apparentemente insignificante, che viene però citata dai manuali e dalle guide locali per il fatto di essere quella con il portico più stretto di tutta la città. Questa via, detta Senzanome, ha infatti un portico della larghezza di soli 95 centimetri, che non permette il passaggio di più di una persona alla volta. La strada attigua a questo piccolo portico è altrettanto stretta, e consente a malapena il passaggio di una macchina. Orbene, il Comune di Bologna come ha deciso di onorare la storia di questo portico, che nella sua esiguità rappresenta pur sempre un’attrattiva per i visitatori che si incamminano in queste zone? L’ha onorata concedendo al ristorante che ivi si trova di aprire un dehor, tra l’angusto portico e l’altrettanto angusta strada.
Che c’è di male, verrebbe da chiedersi? C’è di male che l’apertura di un dehor in una via con queste caratteristiche comporta una serie di conseguenze negative a livello di decoro urbano, che vanno dalla mancanza di spazio per il passaggio delle persone, al rumore folle provocato, fino a notte inoltrata, da astanti vocianti, spesso maleducati (e altrettanto spesso un po’ brilli), alla sporcizia che un’attività del genere comporta.
Ma soprattutto, c’è di male che lo scenario che caratterizza questa via è identico a quello che da qualche anno si apre di fronte agli occhi di turisti e bolognesi in tutto lo spazio del centro cittadino, in un contesto di svalutazione, svilimento e mortificazione delle bellezze di una città che da secoli rappresenta uno snodo fondamentale di storia, di cultura, di civiltà.
L’esempio della piccola via Senzanome appare dunque emblematico. Andando dal particolare al generale, possiamo iniziare un viaggio virtuale tra le vie e i vicoli del centro di Bologna, e ci imbatteremo in una bolgia di tavoli e sedie, collocati per lo più in mezzo ai portici e in mezzo alla strada, in un frastuono disordinato di piatti recanti cibi che di tradizionale spesso hanno ben poco, di odori sgradevoli e di penne di piccione che si librano festanti sui piatti degli avventori.
Da qui, da questi vicoli e strade, da questi portici che fino a pochi anni fa erano un’ordinata e magnifica composizione di storia e tradizione, arriviamo all’assurdità totale, rappresentata dal progetto di aprire un supermercato al posto del Monte di Pietà. Ancora una volta, qualcuno potrebbe chiedersi: che c’è di male? Il Monte di Pietà non è mica un’istituzione in vigore. C’è di male, invece, che il suddetto spazio si trova a pochi passi dal Comune, a pochi metri dalla Cattedrale di San Pietro, dunque esattamente all’interno del cuore pulsante di quella storia, cultura e civiltà che dagli albori hanno fatto grande la città di Bologna e, con essa, la storia del nostro Paese.
In questo nostro viaggio virtuale, possiamo ora immaginare lo scempio di un’insegna dai colori fantascientifici che svetterà a fianco delle statue di San Pietro e delle lesene corinzie; dei carrelli che ingombreranno lo spazio sottostante al campanile paleocristiano; dei sacchetti biodegradabili che saranno abbandonati fuori da quella porta che al suo interno custodisce le opere di Caracci e di Franceschini e di Lombardi. Mentre tra le mura di quel palazzo che in tempi più civili ospitò l’opera onorevole iniziata nel 1473 da Michele Carcano da Milano ci sarà un turbinio di pomodori, bistecche e bacche di goji.
E allo stesso modo, dopo essere stato in questa povera città maltrattata, il turista non ricorderà più di essere entrato nella chiesa di Santa Maria della Vita per commuoversi di fronte a quell'”urlo di pietra” rappresentato dal Compianto di Niccolò dell’Arca. Ma si ricorderà di quanto si è fermato fuori dall’edificio, e si è appoggiato su tavolino sozzo, concentrandosi su un cibo consumato frettolosamente tra gli sguardi spazientiti degli altri turisti che aspettavano il proprio turno per sedersi a loro volta. Negli occhi e nella mente di quel turista, non resteranno lo sguardo di Giovanni Battista e la tangibile disperazione di Maddalena col vestito mosso dal vento. Resterà solo il ricordo di una città caratterizzata dal caos di un’offerta non più culturale ma solo edonistica, becera e insulsa, che non rimane nel cuore di nessuno e non induce nessuno a ritornare.