Il Papa è venuto a Palermo per esprimere qualcosa di concreto. Parole, che abbiamo letto su tanti media, ma anche gesti. Francesco è pura comunicazione e non si muove mai a caso. È un pastore che si prende cura delle sue pecore con audacia, che cerca di comunicare la gioia del Vangelo nel qui e ora, come faceva Gesù, facendo appello alla libertà di coloro che incontra.



Cosa ha voluto dirci il Papa con la sua visita nel capoluogo siciliano? Un modo per rispondere a questa domanda è quello oggettivista: usare le sue stesse parole, che non sono state poche. Ha parlato pubblicamente in Piazza Armerina, nella Messa del Foro Italico, nella Cattedrale con parroci, sacerdoti e seminaristi di tutta l’isola, e nel suo incontro con i giovani in Piazza Politeama. Tutto è stato davvero interessante e commovente, e può essere facilmente trovato su internet.



Consiglio vivamente di leggere e rileggere le sue parole. Ma qui vorrei affrontare la questione in un altro modo: facendo un’ermeneutica personale di alcuni dei suoi gesti. Cosa voleva dirci il Papa con la sua visita nel capoluogo siciliano?

Palermo significa “tutto porto”. Forse è per questo che è un luogo di frontiera, di andirivieni, entrate e uscite, mercanti e pirati, accoglienza, ospitalità, incontri, incroci, invasioni, sofferenza umana, costante trasgressione dei limiti.

Forse  per questo è anche un luogo ideale per esprimere la teologia delle periferie, le preoccupazioni sociali presenti ad Aparecida e nell‘Evangelii Gaudium: prendersi cura della sofferenza umana nella nostra società corrisponde a curare le stesse piaghe di Cristo.



Ma le idee non sono valide se non si incarnano. Ecco perché, con la sua umanità di 81 anni, Francesco ha affrontato un’intensissima agenda con passione e gioia. Per questo nel suo percorso ci ha indicato due testimoni.

Innanzitutto, c’è la testimonianza incarnata nel beato don Pino Puglisi. Un prete assassinato dalla mafia 25 anni fa, il 15 settembre 1993. Morì per uno sparo alla testa, non senza prima sorridere e dire al suo carnefice che lo stava aspettando. Il suo “errore” era stato essere il parroco di San Gaetano, a Brancaccio, umile quartiere di Palermo. Lì aveva offerto ai giovani la sua felicità e, con essa, un destino diverso dal diventare criminali al servizio della famiglia Graviano.

Scegliendo di visitare Brancaccio e di farlo proprio nell’anniversario dell’uccisione di don Puglisi, Francesco ha voluto sottolineare il valore del sacrificio del martire della porta accanto, di questo fermento della società in cui viveva, oggi un po’ meno dominata da Cosa nostra.

Al secondo posto c’è fratel Biagio e i suoi fratelli e sorelle della Missione Speranza e Carità. Il Papa ha visitato — ed è rimasto a pranzo — la sua Città dei Poveri in via dei Decollati, dove accolgono e vi lavorano più di mille “fratelli”: immigrati, vagabondi, alcolizzati, i dimenticati della nostra società dello scarto. 

Forse sono arrivato da fratel Biagio per lo stesso percorso con cui è arrivato al Papa: grazie a Eduardo Drabble, sacerdote villero, figlio spirituale di Jorge Mario Bergoglio. Tre anni fa è stato un mese in Europa. Voleva visitare il suo amico Francesco e conoscere diverse realtà della Chiesa.

Ricordo di essere rimasto molto affascinato dopo aver ascoltato padre Eduardo parlare dell’Hogar de Cristo, a Buenos Aires. Ricordo come gli chiesi se c’era qualcosa di simile in Europa. Ricordo come rispose che la cosa più simile che avesse visto fosse a Palermo.

E quindi ci andai. Mi accolsero con l’ospitalità di chi sa che ciò che possiedono non è loro. Lì conobbi don Pino, Davide e fratel Biagio. La loro povertà, così allegra e palese, mi riempì di gioia a tal punto che poco tempo dopo tornai con altri tre amici che rimasero affascinati quanto me.

Da allora non vi ero più tornato. Ma quando ho saputo che Francesco sarebbe andato a visitarli, ho comprato subito i biglietti per Palermo.

Fratel Biagio ha voluto intitolare l’incontro con Francesco con la frase che l’evangelista Luca attribuisce a Cristo quando incontra Zaccheo sul sicomoro: “scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”.

Chi era Zaccheo? Sappiamo molto poco di lui: era un uomo molto ricco, capo dei pubblicani ed era di bassa statura. Sappiamo anche che, dopo aver accolto Gesù a casa sua, si convertì: ” Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Tuttavia, leggendo il Vangelo, hai voglia di sapere di più, vorresti potere sbirciare da una finestra la sua vita dopo questo incontro.

Chi è fratel Biagio? Chi è quest’uomo che si ritiene fortunato, come Zaccheo, per aver ricevuto la visita del Papa? Fratel Biagio era un giovane che soffriva di depressione esistenziale. Soffriva per l’indifferenza della nostra società verso i poveri. Si sentiva impotente e si abbandonò alla volontà di Dio, addentrandosi tra le montagne siciliane senza cibo o bevande. Stava quasi per morire, ma alcuni pastori si presero cura di lui. Quando guarì, partì per Assisi. E lì capì che doveva tornare a Palermo, per vivere in strada con i vagabondi della Stazione Centrale.

Da quella prima convivenza è nata la Missione, che oggi ospita e abbraccia più di duemila fratelli e sorelle. La vita di Biagio testimonia semplicemente che Cristo è nei poveri. L’intera Missione è sorta dalla dedizione verso di loro. Ecco perché è consapevole del fatto che la sua opera non è sua. Questo è il motivo per cui spesso, invece di rimanere a controllare o a difendere la situazione, se ne va in pellegrinaggio con la croce durante lunghi periodi. Infatti era appena tornato da Lourdes, dove era arrivato a piedi. Era tornato solo perché voleva accogliere il Papa a casa sua.

Don Pino, il prete che è il suo braccio destro nella Missione, mi dice che la convivenza quotidiana con fratel Biagio li aiuta ad interiorizzare giorno dopo giorno che la Provvidenza è la vera legge dell’esistenza. E fa un esempio.

Ultimamente fratel Biagio va sempre in pellegrinaggio con un fratello. Anche se il suo compagno di turno di solito non resiste troppo tempo camminando a piedi al suo fianco. È il caso di fratel Pietro, un ivoriano di 62 anni che è stato con lui per 15 giorni nel suo ultimo pellegrinaggio.

Al suo ritorno, la comunità gli chiese com’era una giornata di pellegrinaggio con fratel Biagio. Rispose che cominciavano a camminare al mattino, senza colazione, a mezzogiorno non mangiavano, ma continuavano a camminare e pregare. Dopo aver camminato 25 km chiedevano informazioni sulla chiesa più vicina, allora gli dicevano che mancavano ancora 5 Km e fratel Pietro non ce la faceva più, si fermava. E non avevano nulla da mangiare. Però fratel Biagio non era preoccupato. Fratel Pietro sì. Dopo un po’ di tempo qualcuno arrivava portando acqua, un altro un po’ di pane, frutta, eccetera. All’improvviso capisci che quando ti preoccupi di te, ti rimangono sempre 5 km da fare, mentre quando guardi con gli occhi di Biagio puoi essere allo stesso tempo in cammino e soddisfatto: hai trovato quello che soddisfa il tuo cuore ma prosegui il cammino perché vuoi incontrarlo di nuovo.

Quando stai con Biagio hai costantemente la sensazione di non stare solo con lui. Ecco perché, dopo l’ultimo abbraccio con Francesco, Biagio era felice come lo sono i bambini.

Si rallegrava semplicemente per il fatto di rendersi conto di una cosa: il Papa, diceva, lo aveva visitato proprio il giorno prima del suo compleanno, il 16 settembre. Il suo regalo più bello, come nel caso di Zaccheo, sarebbe stato la sua stessa conversione.

Jorge Martínez Lucena