Qualcuno potrebbe meravigliarsi nell’apprendere che fra i nove progetti di innovazione italiani finanziati quest’anno da Google per l’informazione digitale figuri anche quello di un giornale online catanese. Il giornale, che nella lista di Google si accompagna a Corriere della Sera e Sole 24 Ore, è Sicilian Post, due anni di vita e una redazione composta da under 35.



La meraviglia non riguarda solo il talento innovativo che forse pochi si aspetterebbero in giovani del Sud, ma anche il fatto vi sia ancora chi è disposto a compiere scelte controcorrente, come quella di restare e di progettare un lavoro proprio in Sicilia, dove negli ultimi 15 anni sono emigrati 200mila giovani, un terzo dei quali laureati. Altrettanto sorprendente è scoprire che nell’Isola c’è chi sta lavorando per accompagnare questi giovani, o altri che si muovono nella stessa direzione: per esempio una prestigiosa istituzione universitaria, come la Scuola Superiore di Catania, o la Fondazione Domenico Sanfilippo editore.



Dall’alleanza fra Sicilian Post e Fondazione DSe, non a caso, è nato il primo Workshop nazionale di giornalismo “Raccontare la Sicilia, raccontare il Mediterraneo” che, a Catania nell’ultima settimana di settembre, ha visto lavorare fianco a fianco trenta giovani di sette atenei italiani, selezionati su cento candidati, direttori di giornali (Giovanni Zagni di Pagella Politica, Maria Pia Rossignaud di Media Duemila, Antonello Piraneo de La Sicilia), giornalisti e inviati di testate nazionali (Domenico Quirico e Guido Tiberga de La Stampa, Giorgio Paolucci di Avvenire) e fotoreporter (Antonio Parrinello dell’agenzia Reuters).



“Quattro giorni intensi e inattesi” li ha descritti Paola, dottoranda alla Normale di Pisa. In quei quattro giorni è accaduto un fatto, s’è accesa una piccola luce nel deserto di paura e rabbia che accompagna spesso i ragazzi del Sud, che dovrebbero essere la nostra più grande risorsa e vengono trattati, invece, come una zavorra. Ai corsisti è stata offerta un’opportunità assai difficile da poter cogliere nel Meridione: incontrare maestri, o giornalisti con lunga esperienza anche internazionale, che con la loro semplice testimonianza siano capaci di allargare gli orizzonti degli allievi.

I giovani hanno avuto anche la possibilità di essere accompagnati da adulti nel rischio inevitabile della libertà e della creatività.

A tema delle conversazioni, delle conferenze e dei laboratori del Workshop c’era la ricerca di un modo nuovo di raccontare la Sicilia e il Mediterraneo, in altri termini di fare informazione in maniera diversa. Dalle testimonianze dei giornalisti che oggi vivono in prima linea è venuta una lezione per tutti: il giornalismo non è solo una tecnica da imparare; è, anzitutto, una responsabilità da vivere rispetto agli eventi e ai personaggi che si raccontano. E al tempo stesso, è uno sguardo sulla realtà, che non si ferma alla superficie degli avvenimenti, ma scruta in profondità. In questo modo i fatti e i personaggi che il giornalista racconta cambiano anzitutto lui stesso, gli aprono nella coscienza ferite profonde che, talora, gli possono cambiare la vita.

I corsisti, attraverso alcuni laboratori, hanno sperimentato questa possibilità incontrando musicisti, volontari, migranti che vivono e operano in Sicilia. I giovani potevano fermarsi a scrivere un pezzo da sottoporre ai giornalisti ospiti. Invece, da quelle interviste molti di loro hanno tratto una curiosità più acuta sui tanti drammi che si consumano nel nostro Paese e una maggiore disponibilità a lasciarsi interrogare su come intervenire. Anche questo è un fatto: inatteso e imprevisto, che non può che meravigliare.