Strade e quartieri di Napoli possono essere luogo di rinascita. Non lo dice solo l’esperienza delle Catacombe di San Gennaro, anche quella dell’ “Oasi di Napoli”

Grazie alla Fondazione per la Sussidiarietà che di recente ha collocato il caso al centro di un importante dibattito svolto a Milano, il lavoro dei ragazzi della “Paranza” nelle Catacombe di San Gennaro ha travalicato i confini del quartiere Sanità. Ne ha parlato Antonio Napoli, su ilsussidario.net e sul Corriere del Mezzogiorno.



Allarga il cuore apprendere che “lassù qualcuno ci ama”. Anzi, prendere a modello qualcosa che nasce nel cuore di Napoli aiuta a far capire che tra i mille colori di questa città c’è posto anche per le sfumature della solidarietà.

Contribuisce a gettare luce sul lato “buono” della città partenopea, spiegando che le strade dei suoi quartieri difficili possono essere, al tempo stesso, teatro delle “stese” e terreno fecondo per tante esperienze positive della sua migliore risorsa: l’energia, l’entusiasmo, la passione dei suoi ragazzi.



Non sono il primo e non sarò l’ultimo a rimarcare che l’arte è un possente motore di cambiamento, di individuazione personale, di riscatto di una comunità intera. Al punto che in città come in periferia crescono tante significative esperienze di aggregazione attorno alla cultura e alla “bellezza” dell’arte: il Nuovo Teatro Sanità, il Nest a San Giovanni a Teduccio, il Teatro dei Mendicanti presso lo spazio dell’Associazione Figli in famiglia, a sua volta esempio della forza del capitale sociale a Via Ferrante Imparato, nel quartiere orientale. E ancora: il Laboratorio permanente l’Elicantropo, nel centro storico, e il Teatro Area Nord a Piscinola.



L’elenco è forse incompleto ma utile ed aggiunge qualche altro paragrafo all’esperienza della ”Paranza”, nata e cresciuta insieme ad altre nel solco del pensiero di Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud, che invita a rinunciare all’idea che per i problemi di Napoli “esistano scorciatoie facili e soluzioni rapide e risolutive: molto meglio creare tanti piccoli focolai di rinascita”.

Ma c’è fuoco e fuoco, come si sa. E c’è legna e paglia.

Da molti anni lavoro nel campo della terapia con il metodo dello psicodramma. Negli ultimi due ho lanciato, con i collaboratori della Accademia Imago, la rassegna “L’arte che cura”. Conosco bene quale potente energia possa esplodere nell’animo di un ragazzo quando le sue emozioni vengono rivissute in scena. Alcuni si innamorano della magia del teatro, altri lasciano le insidie del marciapiede e prendono la strada della musica, del cinema, della danza. Dallo spontaneismo delle esperienze sul campo si può passare a un progetto sistematico, che non lasci nulla al caso. O almeno ci provi.

Come operatore del contrasto al disagio psichico e sociale, quindi, vorrei lanciare un appello a seguire un percorso inedito: realizzare un progetto che sia moltiplicatore di altri progetti.

Per realizzarlo è necessario forgiare – proprio quello che vogliamo fare nella prima fucina che abbiamo chiamato Oasi di Napoli – le risorse in grado di replicare e moltiplicare le esperienze di lotta al disagio in altri luoghi della città: uno, dieci, cento. Il nostro obiettivo è realizzare un luogo in cui fornire ai ragazzi la possibilità di conseguire essi stessi – qui sta il punto – le capacità per portare il seme dell’Arte che cura in altri luoghi, tra gli altri coetanei.

Dal primo lievito, insomma, impastare il pane del futuro.

Accendendo allora, proprio come invita a fare Carlo Borgomeo, “tanti piccoli focolai della rinascita”, proprio là dove più se ne sente il bisogno.