L’animo degli offesi e il contagio del male: sembra il titolo di un romanzo di Dostoevskij, ma è il titolo di un recente contributo di Salvatore Natoli al centenario manzoniano (Il Saggiatore, 2018). “…in Manzoni parlare del male è lo stesso che dire: Provvidenza”. Con questa affermazione, immediatamente provocatoria, si apre il volume e subito si chiarisce che il concetto di Provvidenza non può essere pensato in nessun modo come una “storia a lieto fine”. La Provvidenza, infatti, “penetra il male nella sua profondità, lo assume in tutta la sua serietà”. D’altra parte, se non si cerca di vincere il male — anche se non ci si riesce —, vuol dire che si è conniventi con esso.



Nella pervasività del male che affligge l’umana esistenza la Provvidenza è tuttavia il filo rosso che lega gli eventi e che soprattutto li sottrae alla mera causalità. Credere nella Provvidenza è lottare contro il male senza usare le stesse armi. Manzoni crede nella Provvidenza e in un piano salvifico di Dio, ma propone un’idea di Provvidenza che fa tutt’uno con la sua stessa possibilità e pratica. E’ come agisce fra Cristoforo e come don Abbondio non sa fare, prigioniero com’è delle sue paure: e il male, alla fine, lo subisce.



Manzoni non ci offre una sorta di visione, poco o tanto “ideologica”, del bene e del male, ma delle regole impositive e dominatrici dell’esistenza. Del resto, la conversione del grande scrittore a Parigi, durante le celebrazioni napoleoniche, seguita alla perdita e al ritrovamento della moglie a causa di un grave incidente, testimonia che l’atto di convertirsi è indisgiungibile dall’“affrontare il buio della storia”. Il male che si conosce è più vicino alla guarigione che il male che si ignora.

Per Manzoni il male è negli atti degli uomini: viltà, sopraffazioni, violenze. Il male è nei legami. I Promessi Sposi costituiscono una sorta di “romanzo nero” nel senso del grande commento proposto da Giovanni La Macchia (Manzoni e la via del romanzo, Adelphi, 1994). Ma nei legami funziona anche una “trascendenza” che si coglie come una risorsa inesauribile, che è il modo con cui i legami si riconoscono o no, si intrecciano o no, anche attraverso i compromessi, le meschinità (vedi la trattativa fra il conte zio e il padre provinciale riguardo alla punizione di colui che diventerà fra Cristoforo). E’ in questione una “risorsa” che funziona in modo, per così dire, “sperimentale”, anche nella ri-creazione di legami “politici”. Il “politico”, infatti, nel romanzo è concepito come più radicale e ospitante lo stesso legame fra il “personale” e il “politico” in senso stretto.



La Provvidenza, perciò, la si coglie non come un “ottimismo della volontà”, ma come un intrecciarsi degli eventi. Questo intrecciarsi è tutto costituito dagli atti degli esseri umani, che ne sono gli ingredienti. La Provvidenza, dunque, si annuncia, nel romanzo manzoniano, come un requisito della “libertà” di tali atti. Non ci si potrebbe muovere umanamente nella vita, proprio in modo “libero”, se non in una strada il cui selciato è l’impasto, quotidiano e politico insieme, di effetti non precedentemente calcolabili. Si tratta della nozione di “accidenti” giustamente richiamata da Natoli. “I personaggi dei Promessi sposi credono nella Provvidenza, costantemente la invocano, tuttavia il motore dinamico del romanzo sono gli accidenti. Nè la Provvidenza contraddice a questo, che anzi è tanto più da invocare quanto maggiori sono i contrattempi”.

Così è per il pentimento imprevisto dell’Innominato, per le disavventure di Renzo, per le morti di peste che stermina indistintamente buoni e cattivi. “Dire che i Promessi sposi sia un romanzo ‘a lieto fine’ — ammesso che una fine ce l’abbia — è del tutto improprio: è come se l’inabissamento di Manzoni nel male sia stato solo uno scherzo. La peste, come accade per i mali che ci vengono dalla natura, si colloca fuori dai canoni della giustizia”. Ma l’ingiustizia è stata liquidata per sempre? O, a peste finita, emergono nuovi problemi e le antiche tentazioni ritornano?

“Manzoni dubita che le rivoluzioni siano idonee a sciogliere questo nodo, ma da cristiano è persuaso che tanto per cominciare l’unico contrasto possibile è la mutazione delle coscienze. Per dire: è il cristianesimo elementare e non sofisticato di fra Cristoforo, autentico e per questo raro — tanto ora come allora — che crede nella vita eterna, ma si impegna nel tempo per la giustizia. E’ una indicazione di condotta e perciò anche di virtù politica”.

Non si tratta tuttavia, ci ricorda Natoli, di un’irrazionale “scommessa”, ma di un riconoscimento, sempre a ritardo, di effetti a sorpresa, anche vittoriosi.