Totò a Milano ha girato scene memorabili. È difficile per un napoletano che sbarca a piazza Duomo non dare uno sguardo, preoccupato, al proprio abbigliamento. “Ho esagerato?”, si domanda. Questo succede perché è scolpita nella sua mente l’immagine di Totò e Peppino vestiti con colbacco e pelliccia siberiana che si chiedono dove mai sia finita la nebbia, per poi concludere “che la nebbia a Milano c’è, ma non si vede”. Oppure come dimenticare il duetto con il “ghisa” alla ricerca di una meta di cui non si conosce nulla, in cui a un certo punto Totò chiede “mi scusi, ma lei, per andare dove dobbiamo andare, sa dirci dove dobbiamo andare?”.
Però Totò non era mai giunto in città come poeta romantico, in veste di autore di canzoni e versi d’amore.
Ci ha pensato la casa editrice Colonnese & friends a presentare l’altra sera — nel padiglione 1 di Fiera Rho in occasione di Artigiano in Fiera — la prima raccolta di poesie e testi (Antonio de Curtis, Totò il Principe poeta. Tutte le poesie e le liriche di Totò, a cura di Elena Anticoli de Curtis e Virginia Falconetti, Colonnese Editore 2018) tra cui 5 inediti, in un elegante veste tipografica, arricchita da contenuti multimediali di una certa qualità e praticità. Infatti, accanto a ogni testo è stato collocato un Q-code che attiva su qualsiasi device la voce originale dell’attore-poeta che legge le sue creazioni.
Con la casa editrice — piccola, ma innovativa impresa editoriale napoletana — hanno collaborato alla realizzazione dell’opera la nipote del principe de Curtis, Elena (davvero impressionante la sua somiglianza al nonno) e Virginia Falconetti, curatrice dei testi.
Elena de Curtis apre la presentazione, che si svolge nell’area a forma di piazza collocata al centro del padiglione che ospita gli espositori provenienti dalla Campania, raccontando il lavoro di ricerca durato anni e la sua sorpresa nel ricostruire tra le carte del nonno (“che non ho conosciuto, sono l’ultima e più giovane nipote” precisa) il lato sentimentale e sofferente della personalità del grande comico napoletano, gratificato da un immenso successo e dalla popolarità, ma non certo dall’amore e dalla felicità.
I suoi testi più noti parlano di amori traditi o non ricambiati e della durezza della vita. Elena conclude leggendo qualche passo della famosa poesia intitolata ‘A Livella, che racconta l’insolito incontro avvenuto nel cimitero cittadino dopo l’ora di chiusura con due fantasmi, un gran signore e un netturbino, che alla fine si mettono a discutere animatamente tra di loro. Totò, con una punta di soddisfazione, usa il fantasma del netturbino per affermare che tutto quello che divide gli uomini in vita — la ricchezza, lo status, la fortuna — viene poi spazzato via dalla morte, che agisce come una inesorabile livella.
Un piccolo concerto delle più famose canzoni scritte da Totò (Malafemmina, Sulo, Uocchie che me parlate) fa da cornice alla folla numerosa che chiede di autografare la copia appena comprata e — immancabilmente — farsi un selfie.
Totò oggi sarebbe accusato di populismo. Era popolare ma disprezzato dalle élite, era semplice ma veniva accusato di qualunquismo (favolosa la scena del litigio con l’onorevole Trombetta in uno striminzito vagone letto), era un grande attore ma in vita se ne accorse solo Pasolini.
Artigiano in Fiera — il più grande evento di massa del Natale — è stata la perfetta cornice per accogliere a Milano una delle figure più care alla cultura popolare napoletana, che solo dopo morto ha goduto dei riconoscimenti positivi della critica, che aveva snobbato la straordinaria produzione cinematografica (oltre 110 film, un record imbattuto) giudicandola “cibo buono per i poveracci”.
Contrariamente a quanto da lui stesso sostenuto nella lirica sulla morte, come spesso capita ai grandi uomini, solo la morte lo ha reso immortale.