Caro direttore,
quella di Salvini sull’incompatibilità tra la nostra Costituzione e l’islam, già discussa su queste pagine, non è stata solo una boutade da campagna elettorale; riguarda in realtà un problema reale su cui tutti nel nostro paese dovremmo fare chiarezza. Buonismo da una parte rifiuto e xenofobia dall’altra? E’ questa l’alternativa? E’ scritto da qualche parte che il destino dei cattolici sul tema del confronto con l’islam debba esser quello di appiattirsi su posizioni di rifiuto da una parte o buoniste dall’altra? Davvero non c’è un’alternativa? Qualche tempo è stato dato l’annuncio della prossima canonizzazione dei sette monaci di Tibhirine (uccisi da terroristi algerini): non saranno morti invano, per non saper noi trarre da quel martirio una lezione?
Il problema politico del governo dei flussi esiste, esiste anche un problema di integrazione che, se assente o inadeguata, acuisce il problema della sicurezza. Ma il contributo dei cattolici nella questione occidente-islam, specifico e originale, è quello di sempre, dell’incontro. Frère Jean-Pierre Schumacher,
il monaco sopravvissuto a Tibhirine, non lascia scappatoie: “Bisogna tentare l’incontro senza forzarlo e senza averne paura; la convivenza e l’amicizia superano tutti i bei discorsi. Sono le esperienze vissute che permettono di tessere legami, al di là delle differenze”.
Il cardinale Newman scriveva che “l’Islam è l’unica religione al di fuori del Cristianesimo e dell’Ebraismo che ha il concetto di Dio puro ed è perciò da questo punto di vista autentica”. Certo, le differenze ci sono e sono abissali. Ma il punto è non avere dubbi sull’incontro possibile. Dopo un viaggio in Marocco in cui ho parlato con il parroco della chiesa cattolica di Marrakech, dopo anni di insegnamento con studenti musulmani, incontri (rari) con famiglie miste e una forte amicizia con persone (poche) autenticamente religiose dell’islam mi sono persuaso di quell’immagine della scala doppia che i sufi (una frangia dell’islam sgradita ai sunniti) usano per spiegare la ragionevole speranza e l’incontro possibile: “Voi salite verso Dio da un lato. Noi saliamo dall’altro. Più ci avviciniamo alla cima di questa scala verso il cielo e più siamo vicini gli uni agli altri e viceversa. E più ci avviciniamo gli uni agli altri, più siamo vicini a Dio”.
Questo è il punto: l’islam religioso e autentico e l’incontro con esso può diventare (prima dell’emergenza socio-politica di emigrati e rifugiati che è compito di chi governa) il nostro maggior alleato per una società che da laicista e atea (secolarizzata e scristianizzata), che ormai pervade dalla culla alla tomba la nostra vita, diventi “plurale” e in cui Dio abbia cittadinanza, cioè sia riconosciuto amico e non nemico dell’uomo. Va da sé che questo sguardo su islam e noi supera quello sull’incontro “impossibile” (fatto proprio ad esempio da Domenico Quirico, Samir Khalil Samir e altri) e lo supera perché mille difficoltà non fanno una obiezione.
Come è possibile concretamente la via dell’incontro? L’amicizia con ex miei studenti musulmani coincide con la testimonianza del sopravvissuto di Tibhirine: “Il dogma divide. Non parleremo dunque del dogma, altrimenti non andremo avanti. L’importante è il cammino attraverso il quale andiamo verso Dio — avevamo deciso così insieme… Che ognuno esponga la propria dottrina non serve a nulla. Il vero incontro è altrove. A volte alcuni musulmani del luogo mi assillano affermando: ‘Gesù non è un Dio’. Ma io rimango in silenzio. Non siamo in Marocco per affrontare questi argomenti. La fede in un Dio trinitario e nella divinità di Gesù ci dividerà sempre. Preferisco dire che il miglior musulmano è quello che è più sottomesso a Dio e che Cristo è il miglior musulmano, perché è Uno con il Padre. La croce non è forse un segno di amore, di sottomissione a Dio? Piuttosto che entrare in sterili polemiche, preferisco considerare anche quello che i musulmani possono darci…”. (Frère Jean Pierre, in Lo spirito di Tibhirine) La via all’integrazione dei cattolici passa attraverso un vero incontro basato sull’esperienza elementare di uomini testimoni di una sottomissione amante, che i musulmani invece molto spesso vivono come obbedienza servile o con certo fatalismo.