Ansie di progresso illuminato dalla ragione e attaccamento tenace alle forme della coscienza religiosa modellata dal cristianesimo apparivano, fino a un recente passato, dimensioni incompatibili. L’idea del conflitto discendeva da una visione dualistica della modernità: la si concepiva non come uno sviluppo, ma come una frattura, che aveva provocato il distacco dal tronco della tradizione, introducendo nella nuova strada aperta dalle “magnifiche sorti” dell’indipendenza umana. Per gli intellettuali dell’élite dominante, la tradizione era sinonimo di oppressione e chiusura. Ed era stato un bene buttarla a mare, una volta ridotta a zavorra ingombrante. Per i difensori del primato della fede, sul fronte opposto, il quadro era capovolto: tutto lo splendore stava dalla parte di un passato glorioso; l’ombra del male si annidava nella sua demolizione, che ha reso inerme l’uomo contemporaneo, esponendolo all’avanzata devastante della dittatura dell’utile individuale e di un’etica politico-civile schiacciata da ideologie menzognere. Non si usciva, in ogni caso, dallo schema della contrapposizione. E il punto di svolta in cui la spaccatura era diventata insanabile era collocato da entrambi i contendenti nella crisi del Settecento, con l’attacco portato al sistema dell’Antico Regime, tramite l’attivazione di un fermento corrosivo arrivato poi a esplodere nell’evento della Rivoluzione francese.
Molti uomini di cultura, sia nel campo laico sia in quello del pensiero di ispirazione religiosa, continuano a restare prigionieri di questa logica dello scontro. Non hanno voluto fare i conti con la revisione in atto ormai da decenni su cosa sia veramente la modernità, sui suoi fondamenti e sui processi laboriosi attraverso cui essa ha raccolto i suoi materiali di costruzione, edificando il “nuovo ordine” di un sistema del vivere radicalmente cambiato. Profondamente corretta è ora soprattutto la concezione del decollo della modernità occidentale. Il Settecento e la sua forma culturale più caratteristica — l’illuminismo — si presentano sotto una luce che ne evidenzia i volti contrastanti, facendo risaltare la portata tutt’altro che solo polemicamente disgregatrice di una cesura storica decisiva. Sempre più pacatamente si è disposti a riconoscere, anche da parte cattolica, che la realtà dell’oggi è figlia delle metamorfosi portate a maturazione in quella fase tormentata di trapasso. La rivoluzione illuminista è entrata a far parte strutturalmente del nostro presente: è la cornice intellettuale ed etico-civile nel cui orizzonte si muovono i suoi partigiani fanatici così come gli avversari più irriducibili. L’antropologia che ci condiziona, la costruzione dei valori personali di riferimento, il quadro della morale collettiva, il bilanciamento dei poteri tra sfera secolare e residui di dipendenza dal sacro su cui si regge il mondo attuale derivano dalle posizioni assunte nella battaglia pro o contro le riforme promosse dai disegnatori di un nuovo corso di quella che era stata l’antica Respublica della cristianità. Dimenticarsene, ignorare che sia stato così, non aiuta a comprendere lo scenario in cui siamo chiamati a vivere.
Una sintesi pregevole su tutto questo ordine di problemi si ricava dai lavori di un affermato studioso attivo nel mondo accademico nordamericano: Ulrich L. Lehner. Di lui segnaliamo, in particolare, l’agile volume del 2016: The Catholic Enlightenment. The Forgotten History of a Global Movement (Oxford University Press).
Il suo affresco del lato “cattolico” dell’illuminismo settecentesco parte dalla considerazione che la cultura dei Lumi non può essere ridotta ai suoi esiti più tardivi, radicalizzati in senso anticristiano e violentemente intolleranti. La sua pasta non era fatta solo di scetticismo filosofico, giustizialismo giacobino e Terrore. Prima e al di sotto di tutto questo, i Lumi sono stati un movimento intellettuale di riscoperta della dignità e dei diritti della persona umana, portatore di una spinta riformatrice vigorosa, che mirava a modernizzare in senso più avanzato e “razionale” ognuno degli elementi dell’edificio sociale. La capacità di costruzione mobilitata da queste energie del pensiero non sarebbe neanche ipotizzabile senza le premesse messe a fuoco da una coscienza educata da secoli di fede cristiana. Determinante è stato, in questo quadro, il contributo della cultura cattolica. Lehner puntualmente lo documenta commentando i testi coraggiosamente all’avanguardia di teologi, educatori e moralisti di ogni contrada delle terre europee e dei luoghi conquistati dall’espansione missionaria, sul tema della difesa della libertà di scelta degli individui, a favore del pluralismo religioso, della famiglia, del ruolo della donna, dello sviluppo dell’educazione e dell’istruzione, della lotta contro magia e superstizione, della polemica contro la schiavitù e le altre forme di esercizio abusivo del potere degli uomini su altri uomini.
Questa potente corrente di “illuminismo cattolico” si profila come un fenomeno geograficamente e culturalmente “globale”. La sua linea di fondo è stata quella di puntare a una conciliazione tra l’anima più positiva della modernità emergente e la fede cristiana riportata alle sue fonti più genuine, rimettendo in dialogo tra loro fede e ragione, sviluppo tecnico-scientifico e riaffermazione dei valori centrali di un sistema religioso da riconvertire nel suo impianto, oltrepassando le forme storiche e intellettuali guadagnate al culmine di una lunga evoluzione. Ma il rilancio dello spirito riformatore cristiano non è stato affatto un’invenzione isolata del Settecento: affonda le sue radici nell’antropologia “ottimistica” dell’incarnazione elaborata nel Rinascimento e portata avanti dalla Riforma cattolica cinque-seicentesca, già prima del Concilio di Trento, in polemica con il dualismo agostiniano estremizzato della Riforma protestante e ogni altra forma di spiritualismo unilaterale, anche interno all’orbita cattolica dei due secoli successivi. Da qui è venuto l’impulso che spingeva a pensare alla salvezza cristiana non come una fuoriuscita o una pura contestazione del male del mondo, ma come la risposta al desiderio di pienezza dell’uomo: come promessa di compimento e di felicità destinati a riversarsi in un inizio di trasfigurazione di ogni aspetto dell’esistenza, già a partire dall’orizzonte mondano.
Questo cattolicesimo che rimetteva in simbiosi la grazia e il bisogno dell’uomo, Dio e il libero arbitrio della sua creatura, la terra e il cielo, ha continuato a far sentire prepotentemente la sua voce fin nel cuore dei dibattiti più aspri del Settecento illuminista. Ha aperto la strada alle conquiste più innovative della cultura, della politica e dell’economia del mondo moderno. È andato in crisi solo al momento in cui si è lasciato travolgere dai sogni utopici di dominio nutriti dal dispotismo degli ingranaggi del potere. Il riformismo dei Lumi, facendosi sempre più politico, secolarizzandosi, ha finito con il rivoltarsi contro le sue matrici più profonde. Ha portato al patibolo gli uomini di Chiesa, ridotti a complici del nemico da abbattere. E da allora il pensiero cristiano ha rotto i ponti con le sue frange aperte al dialogo con la modernità. È diventato refrattario a ogni bisogno di aggiornamento e di emancipazione.
Solo con il risveglio religioso dell’ultimo secolo, nei dintorni del Vaticano II e sotto lo stimolo del magistero degli ultimi papi del Novecento, i pregiudizi ostili si sono attenuati. La Chiesa ha ritrovato il suo innesto nel cuore della storia del mondo, e si è lanciata così più fiduciosamente nel tentativo di parlare all’uomo concreto che incontra sul cammino.