Alla fine la scelta è caduta su Parma. Ma a guardare l’elenco delle città che si sono candidate a capitali italiane della Cultura 2020 c’era davvero l’imbarazzo della scelta (Agrigento, Bitonto, Casale Monferrato, Macerata, Merano, Nuoro, Parma, Piacenza, Reggio Emilia e Treviso).

Sono tutte città una più bella dell’altra. D’altra parte questa è l’Italia. Hanno scelto Parma, una città gioiello e nella scelta si può anche cogliere una punta di malizia: è amministrata da un sindaco che era 5 Stelle, e che poi è stato buttato fuori dal movimento. Un sindaco, Federico Pizzarotti, che a differenza dei suoi ex colleghi pentastellati ha governato bene ed è stato addirittura rieletto alle ultime elezioni. 



Ora ci possiamo fare due domande: è giusto aver premiato Parma? Ed è davvero utile l’idea di nominare le capitali italiane della cultura? Sulla prima domanda, non avrei dubbi. Parma è una di quelle città che trasudano italianità da tutti i pori: bellezza, senso del gusto, dimensione civica. Ha ereditato dalla sua storia una serie di tesori, sufficienti a farla capitale per sempre (ne elenco tre, che dovrebbe essere obbligatorio vedere almeno una volta nella vita: la Camera di San Paolo di Correggio, la Deposizione di Antelami in Duomo, gli affreschi di Parmigianino alla Steccata). È un modello di città, ben diffuso in Italia, in cui i gioielli non sono un mondo a parte, ma sono perfettamente integrati in un tessuto civile complessivo. Sono parte di un insieme armonico: questa è la città italiana. 



Anche sulla seconda domanda, ci sono pochi dubbi. L’idea di eleggere dalla provincia una capitale è una buona idea. Anzi è il riconoscimento di un dato di fatto: l’Italia è un paese unico perché è un paese a patrimonio diffuso. È un paese di capitali in senso plurale. È un paese senza un centro, ma con una quantità di centri. È bello ricordarsene, è bello ogni anno poter riscoprire uno di questi centri. 

Ma c’è un altro fattore positivo da considerare: prima con la gara e poi ovviamente con la nomina scattano due straordinarie spinte per le città che scendono in campo a fare un pieno di consapevolezza. Un processo che prima di essere esterno è interno. Lo si è visto nei due casi sperimentati sino ad ora di Mantova e Pistoia: prima di essere scoperte da chi le ha visitate, queste due città sono state scoperte da chi le abita. È un’occasione per riprendere coscienza di quanto la storia disegna in meglio il presente.