Immaginate di essere sopravvissuti a 13 mesi di custodia cautelare e all’ambiguo comportamento di alcuni detenuti un po’ troppo affettuosi, aggiungete che il vostro migliore amico non è mai venuto a trovarvi, così come vostra moglie, e, magari, mettete pure in conto che vostra figlia di 4 anni a malapena vi rivolga la parola. E’ incastrando i pezzi di questo puzzle che otterrete l’immagine della vita di Mimmo Calò, che alla soglia dei 50 anni si vede costretto a reinventarsi. Pieno di buoni propositi e deciso a recuperare il tempo perduto, scopre con grande sorpresa che la moglie ha già voltato pagina e che ottenere un posto di lavoro, visti i suoi trascorsi da galeotto, è sempre più complicato. Declinata un’offerta di lavoro sotto cui si nascondono traffici illeciti, stringerà un accordo col padre: chiarirà le sue divergenze con l’amico Pier Francesco a patto che il genitore recuperi il rapporto col vecchio amico Fefè, che non vede e non sente da 40 anni e che risiede, ormai, in Calabria.
Prende in questo modo il via Malùra (Baldini&Castoldi, 2017) ovvero la seconda vita di Mimmo dopo le tragicomiche vicende di Appalermo, Appalermo!. Una vita più avventurosa, certo, ma terribilmente incerta. Quando il padre, poi, si presenta, nel giorno della partenza, insieme con Pier Francesco, le cose si complicano ulteriormente. L’insolito trio si mette dunque in viaggio, a bordo di una malandata Ritmo dell’88, un viaggio al tempo stesso fisico ed esistenziale, che ci offre uno spaccato di Sicilia autentica nei suoi stenti e nelle sue bellezze selvagge. Sarà proprio nelle tappe di questa anabasi in salsa sicula che Mimmo incontrerà Roberta, ulteriore variabile impazzita di un percorso accidentato già di suo.
Senza perdere quel brillante umorismo che lo contraddistingue fin dagli esordi né, tantomeno, quell’inconfondibile stile di scrittura che oscilla con sagacia tra un vivido dialetto e un italiano con striature di parlato regionale, Carlo Loforti ci consegna personaggi alla disperata ricerca di qualcosa, sempre in bilico tra il desiderio di dare una svolta alle proprie esistenze e la tentazione di rassegnarsi ad essere trascinati degli eventi. In una storia che sembra non avere respiro, tutta fatta di dubbi e spostamenti obbligati, non mancano delle inserzioni profondamente riflessive, dove il nostro Mimmo Calò si lascia andare a lucidi quanto disincantati bilanci sulla propria vita, che lasciano intravedere una progressiva acquisizione di consapevolezza sul senso ultimo delle cose.
Le pagine di Loforti ci insegnano, spesso col sorriso, che non è mai troppo tardi per imparare ad avere uno sguardo nuovo su se stessi, per conoscersi in modi inediti e inaspettati, per riconsiderare tutto il proprio passato e tutto il proprio presente alla luce di un futuro ancora da scrivere, per sottrarsi a quel subdolo male chiamato malùra. Per trovare quella sensazione di cui spesso sentiamo il bisogno ma che non sappiamo dove e come cercare: la serenità. E se, per farlo, è necessario guidare un catorcio che perde gli sportelli per strada o salire su un traghetto alla volta di una Calabria vista alla stregua di una terra promessa, che ben venga. Forse, come la letteratura ci ha già insegnato, per dare peso a sentimenti come amore e amicizia, per apprezzare ciò che si possiede, per trovare nuovi stimoli da investire nella ricostruzione dei rapporti interpersonali, è necessario il distacco, l’allontanamento. E’ così che Mimmo può operare una valutazione oggettiva delle sue azioni e dei suoi propositi, una scelta decisa delle sue priorità.
Con un’abilità rara, Carlo Loforti ci dimostra, di nuovo, di sapere trattare temi delicati come la malavita, la genitorialità o il rimpianto con leggerezza e passione. Con la sua seconda avventura, inoltre, Mimmo si conferma modello eccezionale di individualità che riesce a contenere l’universalità: nel leggere le sue paure, i suoi commenti scanzonati, le sue delusioni e le sue rivincite, non si può fare a meno di sentirsi catapultati, chi più chi meno, sul sedile della Ritmo dell’88 a caccia di un nuovo inizio.