Ho conosciuto Folco Quilici nel periodo in cui curavo trasmissioni di genere documentaristico per un canale Mediaset. Me lo indicò l’allora direttore della rete, Giancarlo Scheri, suo grande estimatore. Quilici mi accolse con la sua cortesia e signorilità nella casa romana di Prati, che già in quegli anni frequentava sempre meno, preferendo la sua bella dimora nelle campagne umbre. Utilizzammo parte del suo ricchissimo archivio, soprattutto le immagini rare di riti e tradizioni popolari girate in tutto il mondo e lo invitammo in studio a commentarle. Passato a mia volta al timone di una rete e volendo proseguire la stagione della documentaristica inaugurata dal mio predecessore, continuai a ricercare la sua preziosa collaborazione. Così fu Mediaset e non la Rai, che pure era stata la sua casa per lungo tempo, ad acquistare uno dei suoi ultimi documentari, dedicato al tragico volo di Italo Balbo, girato in collaborazione con l’Istituto Luce. Fu un documentario a cui Quilici tenne moltissimo e realizzò con straordinaria passione, perché toccava anche i suoi affetti. Infatti su quell’aereo, abbattuto nel cielo della Libia nel 1940, oltre a Balbo viaggiava e perse la vita suo padre, il giornalista Nello Quilici.



Quilici fu scrittore e divulgatore, ma soprattutto precursore della documentaristica italiana, arte poco valorizzata nel nostro panorama mediatico. Quello che oggi viene girato con ingenti budget e grandi mezzi tecnologici dalle case di produzione internazionali, come Nat.Geo o Bbc, lui lo aveva già realizzato decenni prima, con l’entusiasmo dell’innovatore e l’abilità dell’artigiano. Tra i primi comprese le potenzialità narrative dell’esotico, delle bellezze naturali, soprattutto del mondo marino, che amava e frequentava da esperto subacqueo. Fu uomo coraggioso e ammiratore del coraggio altrui, come quello dei missionari religiosi che gli capitò di incontrare nelle terre lontane da lui visitate. 



Con il sostegno della Esso italiana girò la serie “L’Italia vista dal cielo”, effettuando mesi di riprese aeree e poi chiamando a commentare le immagini alcune importanti firme della cultura italiana del tempo. Erano gli anni sessanta e l’invasione dei droni era di là da venire, ma egli intuì la rivoluzione che poteva portare alla documentaristica il guardare il mondo dall’alto. Un punto di vista, quello del cielo, che riassume metaforicamente desideri con-naturati nell’uomo, ma (è il paradosso) anche naturalmente impossibili. Quilici fu un grande naturalista, ma più che agli animali io lo ricordo appassionato all’uomo e alla sua avventura nel mondo, al dono di partecipare delle straordinarie bellezze della natura che ci circonda.

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