Chiude dopo ben quattro mesi la mostra milanese di Caravaggio. Mi è capitato di visitarla spesso per l’impegno, che in realtà considero un privilegio, di accompagnare in mostra tanti gruppi di amici di Casa Testori. È stata un’esperienza di progressiva familiarità con questi 20 quadri, tra i quali c’erano almeno una dozzina di capolavori. Un’opera, specie se “grande”, non è mai uguale a se stessa. Nel rettangolo della tela spalanca un mondo che non si finisce mai di esplorare. “Leggere un quadro è un impegno quotidiano che dura tutta la vita”, diceva il grande drammaturgo svizzero Friedrich Dürrenmatt.
I quadri mutano, restando se stessi. Mutano quando si ha la fortuna di stabilire una contiguità che poco alla volta libera lo sguardo dagli schematismi, dal “già saputo”. È come se in una relazione di maggiore familiarità scoprissero delle carte che erano rimaste gelosamente protette. Ci si muove sotto la pelle delle opere, si intercettano delle dinamiche e tensioni che non erano state colte e che invece si depositano con sempre maggiore chiarezza nei nostri occhi.
Torniamo a Caravaggio. La mostra cronologicamente si apriva con i due capolavori arrivati dalla Galleria Pamphili di Roma, la Maddalena penitente e il Riposo nella fuga in Egitto. La Maddalena (posava Anna Bianchini, la prostituta dai capelli rossi) ha i capelli sciolti a ricordo del gesto in casa del fariseo, quando lavò i piedi di Gesù e li asciugò appunto con i suoi capelli. Il titolo dice “penitente”, ma non dice tutto. Se la paragoniamo con quella dura e ferita del grande Donatello, capiamo che qui Caravaggio ha scelto un altro approccio. Ha scelto un altro momento dentro la storia interiore di Maddalena: basta guardare la dolcezza, quasi indicibile, delle sue due mani abbandonate sul grembo, o la linea del collo, scoperto, con la testa che si lascia andare evidentemente ad un pensiero o esperienza che la sta definendo totalmente. È l’esperienza dell’affidarsi a Cristo, con la commozione che ne scaturisce, testimoniata da quella lacrima delicata e discreta che Caravaggio ha dipinto con maestria sul naso. È un “essere con Cristo” quello che questa tela in realtà rappresenta. Una dimensione che emerge chiara e coerente dal profondo.
Caravaggio, l’artista che ha toccato come pochi altri le corde della brutalità e dell’orrore (si pensi alla Giuditta e Oloferne che apriva la mostra: rappresentazione senza sconti di un delitto, con la testa che si stacca dal tronco e lo schizzo di sangue che taglia lo spazio come una lama), è anche il suo opposto. È l’artista che conosce cosa sia la dolcezza più grande che un essere possa sperimentare.
Lungo il percorso della mostra tante volte vedevamo venire a galla questa dimensione (pensiamo al San Francesco di Hartford). Ma è forse davanti alla Flagellazione di Napoli che questa dolcezza trasale nel modo più profondo e imprevisto. Non si staccherebbero mai gli occhi da questo capolavoro, proprio perché il corpo di Cristo che ruotando sembra cadere su se stesso, non è un corpo violato ma è un corpo che si abbandona; si abbandona ad un abbraccio. Caravaggio non a caso risparmia tutti i dettagli esteriori che richiamano l’esperienza del dolore fisico. E invece punta tutto sulla bellezza, armonia e appunto dolcezza di un corpo, quello di Cristo, che sperimenta “fisicamente” l’affidarsi al Padre. Il suo volto, reclinato proprio come quello della Maddalena, da questo punto di vista è il vertice di massima intensità: l’abbandonarsi prende la forma della mansuetudine, della mitezza, ma anche della tenerezza verso il mondo. Davvero non si smetterebbe mai di guardare un volto così.
È una dolcezza che commuove davanti alla semplicità, assolutamente reale e credibile, dei pellegrini inginocchiati che si affidano con lo sguardo alla Madonna (una meravigliosa, statuaria popolana: la Madonna è bellezza piena…). Non vediamo i loro occhi, perché sono messi di tre quarti, ma percepiamo perfettamente che sono letteralmente “agganciati” alla figura di Maria che si affaccia sulla porta. Sono “appesi” a lei. E noi con loro.
Un bel regalo aver avuto Caravaggio….