All’indomani della caduta del regime fascista, il Partito comunista si trovò a dover costruire quasi dal nulla la propria legittimità agli occhi dell’opinione pubblica nazionale e internazionale. Esso poteva godere della popolarità e del prestigio per l’intransigente antifascismo dimostrato nell’arco di tutto il ventennio, per la funzione di guida svolta durante la Resistenza e per l’alto prezzo pagato per questo, ma soprattutto per il legame con l’Unione Sovietica; con il paese cioè, che oltre ad aver respinto il più massiccio attacco lanciato dai nazifascisti, pagando i costi umani e materiali più alti di tutta la coalizione alleata, rappresentava agli occhi di molti la concretizzazione storica di un ideale di palingenesi sociale. L’immagine dell’Unione Sovietica fu fortemente idealizzata dai vertici del Pci, che presentarono ai propri militanti e alle masse italiane il Paese di Stalin come il “paese di cuccagna”, quello nel quale finalmente tutte le ingiustizie sociali ed economiche erano state superate e dove la “vera” democrazia aveva messo radici così solide da diventare immortale.
Questo mito veniva diffuso attraverso la stampa quotidiana e periodica comunista — l’Unità, Rinascita e Vie Nuove su tutti — ma pure attraverso la propaganda orale, nei comizi, nelle conferenze, nei pubblici dibattiti. In quel paese, si raccontava, non solo gli operai potevano assurgere alle cariche pubbliche, non escluse le più alte, ma anche per le donne c’era libero accesso a incarichi altrove riservati esclusivamente agli uomini. A tutti era riconosciuto il giusto salario e non c’erano più sfruttati.
È su questo modello che il Pci iniziò a costruire la sua presenza nella società. Il carattere da terra promessa di queste descrizioni rendeva tra l’altro facile la loro sovrapposizione alle tradizionali attese di ordine millenaristico, rafforzate nelle classi popolari — come si è visto — dalla crisi bellica. Il “partito nuovo” che Togliatti costruì — nuovo rispetto al vecchio Pcd’I, nato nel primo dopoguerra come sezione italiana dell’Internazionale comunista — si reggeva su due fondamentali principi: 1) doveva avere una funzione nazionale e un ruolo centrale nella costruzione dell’Italia democratica e repubblicana; 2) doveva diventare un partito popolare e di massa.
Nel merito di questo ultimo punto, in particolare, un elemento importante fissato fin dal V Congresso del Pci (dicembre 1945-gennaio 1946, il primo dopo il fascismo), fu il criterio di adesione al partito. Ad esso potevano iscriversi tutti i cittadini italiani, indipendentemente dalle loro convinzioni filosofiche e religiose personali. Ciò favorì il notevolissimo afflusso di nuovi aderenti, non sempre di provata e consolidata fede comunista. Non si fecero sconti, invece, sulla funzione e sul ruolo del militante del partito. Lo sforzo di penetrare in tutte le pieghe della società per radicarvi il partito — “una sezione per ogni campanile”, aveva detto Secchia — dava al militante comunista alti obblighi morali per l’esempio che doveva fornire a chiunque entrasse in contatto con lui. Il suo impegno doveva essere integrale, non poteva esserci divisione tra vita pubblica e privata. Ciò contribuì a dare alla politica una visione universale e totalizzante, almeno fino agli anni Settanta.
La Democrazia cristiana, la cui nascita si può far risalire ai mesi tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943, dal punto di vista organizzativo si trovò ad affrontare una situazione molto più semplice rispetto al Pci. Essa poté infatti far affidamento — pur se tra contrasti che specie nei primi anni facevano apparire questo sostegno non scontato — sull’articolatissima organizzazione della Chiesa cattolica e quindi sulla sua forte e radicata presenza in tutti i settori della società italiana. All’assistenza morale e materiale fornita alla popolazione durante e dopo la guerra — assistenza che aveva evidenziato la capacità delle istituzioni ecclesiastiche di sostituirsi efficacemente alle strutture statali — la Chiesa aggiunse la capacità di offrire un’identità morale alternativa a quegli strati sociali che si erano identificati nel regime e che si trovavano disorientati dopo il suo crollo.
Come si vede, anche la Chiesa e la Dc, come il Pci, offrirono un sistema valoriale alternativo a quello del fascismo per permettere a delle masse orfane dei vecchi valori di poter affrontare le incognite drammatiche del dopoguerra. Primo obiettivo del mondo cattolico fu la realizzazione di quella “civiltà cristiana” che sembrava a molti l’unica via di uscita possibile dopo il fallimento delle altre ideologie dimostrato dalla tragedia bellica. A dimostrazione di quanto il mondo cattolico sentisse il compito di essere chiamato a rifondare la convivenza tra gli italiani, un manifesto democristiano affisso a Roma tra la fine del 1944 e l’inizio del 1945, ricordava che “nessun vero e durevole ordinamento democratico è possibile senza la base morale del Cristianesimo”. I punti qualificanti del nuovo Stato da costruire avrebbero dovuto essere la garanzia delle libertà morali, politiche ed economiche di tutti, la tutela della famiglia e la difesa dei “sacri diritti” dei genitori nell’educazione dei figli, la valorizzazione e l’incremento della piccola proprietà, la lotta ai monopoli ecc.
Sebbene fosse stato subito evidente che il nemico della Chiesa era il Partito comunista, non fu però immediatamente chiaro quale dovesse essere la collocazione partitica dei cattolici. Tutte le ipotesi furono infatti prese in considerazione: dalla nascita di più partiti cattolici di varie tendenze all’esistenza di un unico partito destinato a raccogliere la maggioranza dell’elettorato cattolico. Il dibattito fu acceso e durò parecchi mesi. Tutte le posizioni, però, avevano in comune la convinzione che qualunque fosse stata la soluzione del problema, l’obbedienza alle direttive ecclesiastiche per chi sarebbe stato chiamato a rappresentare gli interessi cattolici, non avrebbe potuto essere messa in discussione. Fu grazie al prestigio personale, all’abilità e alla lungimiranza di De Gasperi che la Dc si rivelò per la Chiesa la garanzia più solida e concreta. Senza questo legame con l’istituzione ecclesiastica, la Dc non sarebbe sicuramente riuscita ad ottenere quella base di massa che l’avrebbe resa da subito il partito più forte.
(2 – fine. Leggi qui il primo articolo)