Ascoltare e argomentare: il dialogo tra don Camillo e il Cristo dell’altare“Intendimi, don Camillo” (Le lampade e la luce) e “don Camillo, dimmi un po’” (Spedizione punitiva): tra i due poli dell’ascoltare e del parlare in modo ragionato (argomentare), prendono vita le frequenti, affettuose correzioni del Cristo dell’altare a don Camillo. Il Cristo è un interlocutore che mette alla prova. Le sue sono spesso domande, più che affermazioni, volte a far sì che don Camillo riconosca aspetti della realtà che aveva trascurato: “Se per far capire a uno che sbaglia tu lo stendi con una schioppettata, mi vuoi dire a che scopo io mi sarei fatto mettere in croce?” (Rivalità). E sulla disfatta della squadra di calcio di don Camillo contro quella di Peppone: “E perché avrei dovuto aiutare te e non gli altri? Ventidue gambe quelle dei tuoi uomini, ventidue quelle degli altri: don Camillo, tutte le gambe sono uguali” (La disfatta).



Riconoscere l’evidenza — Nelle storie di Guareschi, vale molto di più il caso concreto dell’ideologia: contano, per esempio, gli occhi pieni di fame del figlio di Stràziami, piuttosto che i proclami teorici del partito sul fatto che i compagni non debbano accettare alimenti regalati dagli Americani. E non è solo l’ideologia comunista ad essere criticata, ma qualunque ideologia astratta, che non deve essere anteposta alla realtà e alle persone. Così, quando don Camillo si vanta di aver fatto un bel colpo ai “fini politici generali” scrivendo “asino” sui manifesti affissi da Peppone, notoriamente caratterizzati da una grammatica piuttosto approssimativa, il Cristo sbotta seccato: “Non mi interessano i fini politici generali!” (Il proclama). Al Cristo interessa Peppone, che egli non vuole vedere ridicolizzato e umiliato: e la carità nei confronti di uno solo vale molto più della vittoria politica.



Autorità e apertura — Il Cristo non si limita a chiedere a don Camillo di correggersi: anch’egli, qualche volta, cambia idea, lasciandosi anche correggere da don Camillo. Quando don Camillo, volendo “restituire” a Peppone una pedata in cambio di uno scherzo che non ha digerito, fa osservare al Cristo che “le mani sono fatte per benedire, ma i piedi no!”, il Cristo risponde: “Anche questo è vero” (Peccato confessato). Quando don Camillo si giustifica dicendo “se benedico le galline e i vitelli, perché non dovrei benedire Peppone e i suoi uomini? Ho forse sbagliato?”, il Cristo dice apertamente: “No don Camillo, hai ragione tu. Però sei un briccone lo stesso” (La bomba). Leggendo questi episodi, ci si figura un Cristo che sorride mentre parla; un Cristo autorevole ma non autoritario, capace di lasciarsi convincere da uno che, in fondo, altro non è che una sua stessa creatura.



Una “dieta” contro i sofismi — Il Cristo si scaglia contro la dialettica, contro il parlare reso ottuso dall’ideologia; ma non contro il dialogo ragionato e ragionevole. Al contrario, è lui stesso a dar lezioni di argomentazione a don Camillo: “Bisogna calmare la gente col ragionamento, non esasperarla con atti di violenza” (Uomini e bestie). Un ragionamento sano, aperto, rispettoso dell’altro, che si contrappone ai discorsi sordi e ripetitivi di don Camillo e Peppone quando questi la buttano in politica (in un senso ristretto del termine) e tutto rischia di finire a sberle, quando non a colpi di panche o tavoli. Il Cristo insegna che “l’azione più misera che si può commettere in una polemica è quella di aggrapparsi agli errori di grammatica e di sintassi dell’avversario. Quelli che contano, nella polemica, sono gli argomenti” (Il proclama). E quando don Camillo, che aveva irriso Peppone per un suo manifesto sgrammaticato, si difende con un argomento di analogia: “Stolto è, secondo me, chi, avendo una gamba sola, vuol partecipare a una corsa podistica”, il Cristo non si sottrae al dialogo ma risponde con un preciso contro-argomento: “Don Camillo, tu bari! Chi manca d’una gamba non la può acquistare: chi non sa la grammatica la può imparare. Se non la sa è perché nessuno gliel’ha insegnata” (Lo scolaretto di quinta). Non da ultimo, in Quelli di città, don Camillo viene invitato dal Cristo a intraprendere una efficace “dieta antidiavolo” (la ricetta consiste in tre giorni di digiuno), che lo guarirà completamente “dai sofismi” che l’avevano reso ottuso. L’accostamento tra il diavolo e i sofismi, cioè le cattive argomentazioni, ci dice qualcosa di quanto il Cristo dell’altare stimi il ragionamento argomentativo sano.

La persona come valore — Come si è detto, il Cristo interviene contro un certo uso ristretto del discorso come dialettica — la lotta per la lotta, la retorica che punta a distruggere l’altro — e in favore di un uso vero della ragione del dialogo, dove la verità conta più della grammatica e delle posizioni ideologiche preconfezionate, quindi astratte rispetto all’esperienza. E l’uomo, il valore della persona, vengono sempre prima di tutto. Prima dell’ideologia, prima delle regole astratte.

A casa Guareschi — È interessante ritrovare lo stesso ruolo del dialogo che abbiamo visto nei racconti di Mondo Piccolo anche in altre opere di Guareschi: ad esempio, nella bellissima saga dei racconti familiari — in particolare, il Corrierino delle famiglie, lo Zibaldino, Vita con Giò. A casa Guareschi, secondo la rappresentazione che ne abbiamo in questi scritti, educare non è tanto riproporre schemi o regole da una generazione all’altra, ma stupirsi insieme, con profonda ironia, di quello che capita, delle piccole e delle grandi vicende umane, da un voto scolastico alle conseguenze della guerra. Non ci sono giudizi preconfezionati che non possano essere rimessi in discussione; ma c’è tanto giudizio nel dialogo continuo su quello che accade. 

E in questo dialogo emerge, in modo nitido, il rispetto del bambino e della sua capacità di dire “io”. Spesso vediamo Giovannino fermarsi ad ascoltare domande ed obiezioni dei figli — per esempio “E perché hai fatto la guerra?” (Anni 4 contro anni 40)  quasi con la stessa affettuosa apertura che il Cristo dell’altare dimostra a don Camillo. Come quando Giovannino si convince a firmare un brutto voto, preso dalla figlia Carlotta (la Pasionaria) che aveva caparbiamente rifiutato che sua madre le correggesse il compito. Giovannino cerca di argomentare: “…se lei te lo avesse corretto, non avresti avuto quattro. Avresti avuto almeno un sei” ma la Pasionaria ribatte: “meglio un quattro mio che un sei di un altro”. E lui commenta: “Firmai il quaderno” (Fa più “io” dire “me”).  O ancora, quando, per essere accompagnata a scuola, la Pasionaria vuole che Giovannino si tagli la barba. Lui si ribella: “Tua madre mi ha conosciuto che avevo la barba lunga, mi ha sposato che avevo la barba lunga e non si è mai sognata neppure che io, per uscire con lei, dovessi farmi la barba. Chi sei tu che avanzi simili pretese?” e lei, “calma, quasi gelida” risponde “Io sono me”. Giovannino commenta soltanto: “Andai a farmi la barba” (La rivoluzione d’ottobre). Persino quando la Pasionaria sostiene che scrivere per i giornali e fare libri, come fa suo padre, non è un vero mestiere (“Si dice mestiere quando uno fa qualcosa di cui c’è bisogno”), Giovannino non “taglia corto”, la sfida ma non la rimprovera; piuttosto, si ferma ad ascoltare: “Non potevo impiantare con la Pasionaria la discussione massiccia che il caso richiedeva” (Un mestiere anche per me). 

Il dialogo argomentativo — C’è quindi un filo conduttore che procede in parallelo nei racconti di Mondo Piccolo e nella vita familiare rappresentata da Guareschi: è la presenza di un certo tipo di dialogo. Si tratta di un dialogo aperto alla realtà, ragionato, condiviso; in cui il rispetto dell’altro viene prima di ogni ideologia e di ogni schema. Prima della difesa della propria posizione, l’apertura al “problema”, a ciò che emerge dalla realtà, cui segue la capacità di cambiare idea. Prima della persuasione, l’ascolto. Prima delle ideologie, il rispetto per l’altro. Il Cristo dell’altare, che in Guareschi rappresenta la coscienza (“chi parla nelle mie storie non è il Cristo, ma il mio Cristo: cioè la voce della mia coscienza”, si dice nell’introduzione a Don Camillo), è una voce particolarmente preziosa quando l’evidenza non si vede, quando siamo accecati dall’ideologia o dalla rabbia; ovvero quando abbiamo bisogno di lezioni di dialogo e argomentazione — le parole più profonde della comunicazione.