Quanto ha mai scritto Alcide De Gasperi? E cosa può mai offrire di nuovo un volume intitolato De Gasperi scrive? C’è la sua foto in copertina, con la penna in mano. E sono due De Gasperi, le due figlie Maria Romana e Paola, a curare questa raccolta di lettere, appena edita dalla San Paolo. Nuove, anche se in parte note agli studiosi. Nuove, perché nuovo è lo sguardo di De Gasperi alla politica, ai rapporti con la Chiesa cui apparteneva con umiltà e passione, nuovo l’impegno costante, la dirittura morale, lo spendersi in energie e sforzi di mediazione, di ragionevolezza, di umanità, che supera diatribe ideologiche e unisce le persone, prima che i politici, a lavorare per il bene comune. 



Sono caratteri, tensioni nuove oggi, mentre assistiamo alla rassegnazione o all’urlo, ai dispetti e ai personalismi. Sono state la base per ricomporre un paese lacerato, per ridefinire l’identità nazionale puntando sull’idea di patria, riscattando proprio quel nome che la dittatura e la guerra avevano corrotto. Come doveva essere l’Italia nel ’43, sotto l’occupazione tedesca, e poi nel ’45, umiliata e povera, divisa, eppure diventata in poco tempo uno dei paesi fondatori dell’Europa! 



A De Gasperi dobbiamo questo sforzo visionario, mettendo in comune sogni e speranze, anticipando il futuro insieme a due uomini come Adenauer e Schuman. Tre uomini di stato che hanno con determinazione mobilitato i cuori dei loro popoli. Non suonino retoriche queste parole, non applichiamole all’Europa che frena, che impone, che ansima, che è indifferente, egoista, estranea, che vive di burocrazia e tecnicismi. Non era il loro sogno. Non era il loro ideale. Non restiamo impantanati negli sbagli, immaginiamo e costruiamo una progettualità nuova. C’è l’Europa, nelle lettere del De Gasperi politico, e c’è l’Italia, il referendum e la Costituzione, di cui gli siamo debitori. Fila da tessere con pazienza, per rifondare la democrazia, e lo si sente il sudore, con Togliatti e con Sturzo, con Nenni, che pure gli era fratello, avendo condiviso con lui il nascondimento, durante la persecuzione politica. Si sente la schiettezza, anche nelle annotazioni polemiche sulle esperienze totalitarie d’oltrecortina, anche nella retta coscienza del cristiano che laicamente non accettava compromessi di potere con il clericalismo dominante. 



E c’è in questa corrispondenza scelta, prima di tutto, soprattutto il cristiano. Non si può capire la sua presa sulla gente, la sua azione politica e i risultati ottenuti senza la sua fede, senza tener conto che per lui la ricerca del bene comune doveva andare di pari passo con la ricerca del regno di Dio, che dar forma alla democrazia significava rifarsi all’umanesimo cristiano. Dunque De Gasperi cristiano, democratico, europeo. Questa la trama della sua vita e di quest’opera, che le figlie Maria Romana e Paola hanno curato, testimoni fedeli di un padre speciale, tenero e austero, integerrimo e dolente, per troppe incomprensioni e dimenticanze. Bruciano quelle di oggi, nonostante le citazioni continue e l’accaparrarsi improbabili eredità; perché il tempo dovrebbe liberare i pregiudizi e le fazioni per lasciar posto alla storia, che fa emergere le figure dei grandi.

L’altra sera, in Senato, c’erano i maggiori storici contemporanei a presentare il volume, a dare il via a quella memoria del 18 aprile del ’48, giorno della libertà, dal passato e dalla paura, giorno della scelta per l’Occidente e la democrazia, appunto. C’era il presidente della Fondazione De Gasperi, Angelino Alfano: per inciso, uno che ha scelto di lasciare la politica, cosa rara, e che cerca in De Gasperi la forma della politica, per farne di nuovo scuola e proposta. Chissà che qualche giovane non ascolti. Maria Romana, a 95 anni, ha la freschezza e l’entusiasmo della giovinezza. Le scuole la chiamano a testimone, e lei le visita con la baldanza di quando ragazzina girava in bicicletta tra le ronde naziste della Roma occupata per fare da staffetta al papà e ai suoi amici in clandestinità. “Come facciamo, come possiamo?” Le chiedono i ragazzi. Cambiare, essere protagonisti. “Bisogna seguire la sua dirittura morale, la sua fede nella gente, nel futuro. E la sua fede, che era la sua vita, il motivo per cui faceva politica”.