Quanto bevono i personaggi de Il fondo della bottiglia, il più recente Simenon pubblicato da Adelphi. L’azione comincia proprio presentandoci il protagonista, P.M., con il bicchiere in mano, intento a fissare il pallido goccio di whisky rimasto sul fondo. Siamo negli Stati Uniti, a Nogales, al confine con il Messico, terra di grandi possidenti, di ranch sterminati e di siccità tormentosa, tanto che la gente del luogo scommette sulla data in cui cominceranno le piogge: e quando ciò accade, buona parte della città resta completamente isolata, visto che il fiume, il Santa Cruz, si ingrossa velocemente e diventa impraticabile. Ma i grandi proprietari di ranch e mandrie del luogo ingannano in quel periodo dell’anno il senso d’isolamento con interminabili serate alcoliche a casa dell’uno o dell’altro, in quella loro società ristretta che costituisce una sorta di aristocrazia locale. 



In questa cerchia eletta P.M. è entrato grazie al matrimonio con Nora, una possidente molto ricca (certo, non quanto la sua grande amica Lil Noland); l’uomo è arrivato in città forte della sua laurea in legge e della sua professione di avvocato, frutto della fatica di una vita. Sì, perché P.M. è nato povero, e la sua scalata sociale è stata coronata proprio dal matrimonio con questa donna intelligente e per nulla romantica o passionale, già vedova di un marito molto più vecchio di lei: Nora lo capisce, con Nora è come avere a che fare con un’amica tollerante e attenta; e pazienza se ogni tanto, dopo una sbronza, P.M. se ne va in certi localini per soli uomini, al ritorno dai quali si sente disgustato di sé.



Un giorno, anzi, una notte, proprio subito dopo l’inizio delle piogge, tornando a casa prima della moglie, trova, davanti alla porta, un individuo che lo chiama, come non fa nessuno laggiù ormai, “Pat”, con il diminutivo cioè del suo nome di battesimo: è il fratello minore, Donald, della cui esistenza P.M. non aveva fatto parola con nessuno in città. Donald è evaso dal carcere, e ora chiede a Pat di aiutarlo a passare in Messico, dove già lo attendono la moglie e i figli. Ma ormai il Santa Cruz è ingrossato; bisogna attendere, oppure trovare un punto che offra un guado. Nel frattempo Donald, spacciato per un vecchio amico, comincia a fare la conoscenza dei membri della cerchia di Nora e di P.M., con esiti disastrosi: alcuni segreti e ipocrisie verranno scoperti, certi rapporti consolidati rischieranno di rompersi. Al contrario, la comprensione di Nora per il marito sembra anzi intensificata grazie alla presenza di quello strano sconosciuto, di cui coglie subito una cert’aria di somiglianza con P.M., e insieme, anche una di tristezza. 



Anche se ambientato negli Usa, e scritto durante la lunga permanenza in America di Simenon, Il fondo della bottiglia, pubblicato per la prima volta nel 1949, attinge a un’esperienza molto personale e molto dolorosa dell’autore. Nel rapporto fra P.M. e Donald, tra il fratello maggiore, responsabile, ligio ai suoi doveri, e di successo, e quello minore, scapestrato e sempre perdonato in nome di una presunta “debolezza di carattere”, è infatti adombrato il rapporto fra Georges Simenon stesso e il fratello Christian. Quest’ultimo, nel 1945, venne condannato a morte in contumacia per avere coadiuvato le SS in una spedizione punitiva. Simenon, dunque, che era già uno scrittore noto e affermato, gli aveva consigliato di arruolarsi nella Legione Straniera: sarebbe sparito, sottraendosi alla giustizia, perché avrebbe avuto un nuovo cognome, e avrebbe potuto riscattarsi; ma cambiando nome, non avrebbe nemmeno imbarazzato il già celebre fratello. Per cui quando, nel gennaio del 1948, giunse la notizia della morte di Christian, la madre, una donna non facile (destinataria della durissima Lettera a mia madre) aveva rinfacciato a Georges di essere colpevole del decesso di quello che era il suo figlio preferito. 

Questo romanzo tocca dunque delle corde molto personali per Simenon: prova ne sia che egli ha ritenuto qui necessaria una segnalazione mai presente negli altri suoi libri, e cioè il fatto che i personaggi e gli eventi di queste pagine siano “puramente immaginari e privi di riferimento a persone viventi o defunte”. Una sorta di esibita presa di distanza da una narrazione che ha lo stigma delle verità più dolorose, raccontate con quella suprema capacità di Simenon di costruire atmosfere con un aggettivo, con una annotazione, con un gesto di un personaggio.