Di recente su queste pagine si commentava Uccidete il comandante bianco di Giampaolo Pansa: un’occasione perduta per far conoscere la splendida figura di Aldo Gastaldi.
E’ da pochi giorni disponibile, edito dalla casa editrice Itaca, il documentario di Marco Gandolfo sul comandante “Bisagno” proiettato al Meeting di Rimini nel 2015 e che ha riscosso vasti consensi di critica e di pubblico, accompagnato da un testo dove sono raccolti contributi di Danilo Veneruso, Maria Bocci, Daniele Bardelli ed Emilio Bonicelli. Tra gli interventi spiccano quelli della defunta poetessa Elena Bono e di Paola Del Din, medaglia d’oro al valor militare della Resistenza.
Contrariamente al libro di Pansa, il documentario restituisce integralmente la straordinaria grandezza morale e cristiana di Aldo Gastaldi e non solo: le riprese fatte nell’Appennino ligure coperto di neve danno un’idea della durezza della vita partigiana, al di là di ogni detrazione o critica. Gandolfo riporta alla luce luoghi, fatti, persone con una sola carenza che, tuttavia, è comune alla gran parte degli studi sulla Resistenza. Manca quasi del tutto l’elemento militare, importante per capire il valore anche fattuale della Resistenza italiana. Fino a quando non sarà stato compiuto uno studio complessivo ed esaustivo su questo argomento resterà sempre il dubbio che il partigianato sia stato un movimento: antipatriottico, di comodo, sanguinario, inutile e dannoso.
Ma, a parte questo argomento non trattato, Gandolfo ha compiuto un’operazione di bellezza e profondità davvero inusitate in questo tempo reo di perdita della memoria. Questa suprema bellezza è data dalle interviste e dalle testimonianze tra cui spicca quella di Elena Bono, poetessa di profonda fede cattolica, spentasi nel 2014. E’ lei a descrivere l’aspetto di “Bisagno” che più stupisce chi lo incontra: “Uno sguardo dritto, sicuro, non incerto”. Sono le lettere di Aldo Gastaldi a illuminare ancora il nostro tempo con la necessità quasi fisica di un rigore morale a tutta prova. Ma, più di tutte è la testimonianza corale dei suoi compagni a descrivere un’amicizia, una compagnia, una “band of brothers” che non viveva sulla Luna ma nelle aspre montagne liguri. I compagni di “Bisagno”, ragazzi di ottant’anni e più, sfilano coi loro nomi di battaglia: “Mando”, “Caronte”, “Bill”, “Santo”, Luigi Conio e poi l’ebreo “Bisturi” di cui si riporta solo un passaggio, almeno per dare l’idea della commozione che suscita l’opera di Gandolfo. “Io l’ho seguito — racconta “Bisturi” — per il bene che mi ha voluto. Era morto Castagna. Il giorno dopo facemmo la sepoltura. C’era un sacerdote che ha letto le preghiere. Bisagno si avvicina a me e mi dice: “Bisturi” se non sai le nostre preghiere recita il Qadish (la preghiera ebraica per i defunti, nda). Io mi son messo a piangere perché sentire Qadish nella mia lingua voleva dire che anche da dove venivamo c’era qualcuno ad aspettarci”.
Quanto al rapporto coi comunisti, Gandolfo fa parlare i documenti e il giudizio sul comando garibaldino è durissimo. Francamente non si comprende come Giorgio “Getto” Viarengo dell’Anpi abbia potuto dire che il film è “completamente fondato sul sospetto della morte di Bisagno. Noi — continua Viarengo — non accettiamo il sospetto perché il sospetto è un veleno devastante che ci dividerà nel tempo”.
Su questo punto il film riporta brevemente le opinioni dei compagni di Gastaldi, ma nei confronti della “vulgata” dell’Anpi fa molto di più, demolendo l’idea di una unità che non c’era, perché fondata sulla volontà egemonica del Partito comunista, i cui rappresentanti nella VI zona non brillavano nemmeno per capacità militari. Sulla morte di “Bisagno” altri hanno scritto in modo approfondito, come Elvezio “Santo” Massai, comandante del distaccamento “Alpino”. Pochi conoscono il suo “Bisagno: la vita, la morte, il mistero” oggi quasi introvabile, quasi volutamente ignorato e che descrive un’istruttoria forense di grande valore.
Quanto al film di Gandolfo sarebbe davvero il momento di acquistarlo e proiettarlo nelle scuole per il prossimo 25 aprile. Sarebbe un inizio per tornare a far crescere nei giovani il desiderio di essere come Gastaldi, almeno un po’. Quell’imitazione dei santi che regge il paese e tutta la terra nostra.