Nel nostro villaggio, in un’isola sperduta del Pacifico, è estate.
Figaros, quel giorno, era preso dai conti della sua attività. Sprofondato in fogli girati in tutti i sensi, saltava con la sua matita dall’uno all’altro, scrivendo e spuntando cifre, quindi ogni tanto lanciandosi sulla addizionatrice meccanica a manovella, una Summa Olivetti che Mainardino gli aveva riportato dall’Europa, durante la sua ultima vacanza nell’isola.
Era tutto preso perché, sette anni prima, aveva messo una pala rotante sul pelo del torrente che passava nel suo campo e, spendendo tanto denaro, aveva collegato la ruota a pale alla macina del mulino, dove il grano veniva reso farina. Suo figlio Gioachino, poco più alto della scrivania, lo guardava incuriosito, nel suo studio semi-illuminato dalla finestra aperta, da cui si vedevano i palmizi e, più in là, il mare.
“Ah-ah! — gridò ad un certo punto Figaros tutto orgoglioso —. Quest’anno finalmente prendo lo stipendio!”. A Gioachino si drizzarono le orecchie: “Fantastico. E quanto prendi di stipendio?”. “18mila auri” (è la valuta dell’isola; simbolo @), rispose fiero Figaros. “Bel guadagno… — commentò Gioachino tutto avvilito —. Gambadipiombo dice che in quell’accrocco hai messo un sacco di soldi, altro che 18mila @. Tenendo per te quel denaro avresti potuto campare di rendita per anni”.
Figaros rimase un po’ interdetto. Guardava il cielo fuori dalla capanna, e il mare, e più a sinistra il suo campo, con in fondo la ruota che girava e la gente che aspettava per macinare il grano, mentre altri se ne andavano con un sacco di farina sulle spalle. Ripiombò sul groviglio di fogli e si mise a fare conti e ancora conti. La calcolatrice a manovella sembrava un locomotore la cui caldaia dovesse scoppiare per il vapore che non riusciva ad uscire dalla esagerata pressione che vi era dentro. Alla fine risorse dal mucchio di carte svolazzanti esultando: “Ci siamo! Vieni un po’ qua, ragazzetto impertinente”. Gioachino, ancora deluso dal magro stipendio del genitore, si avvicinò al tavolo. “Guarda qui: i soldi di cui parla Gambadipiombo, che sono stati messi per fare il mulino, sono 250mila @. In sette anni, con questi 250mila @ abbiamo fatto contenti i paesani per 2.600.000 @ di farina, che sono stati pane a buon prezzo per loro e per le loro famiglie; abbiamo pagato fornitori di grano per 1.400.000 @, che hanno potuto far lavorare le loro aziende agricole; abbiamo fatto lavorare i dipendenti e pagato stipendi per 750mila @; abbiamo pagato artigiani che ci hanno costruito il mulino per 330mila @ i quali, grazie a ciò, hanno sviluppato la loro attività. Per non parlare di tutti i soldi che abbiamo dato a Housty in tasse e servizi che solo lui sa. E, alla fine della fiera, se vendessimo il nostro mulino ci ridarebbero i 250mila @ che abbiamo speso. Guarda quante cose ha mosso quel capitale… mentre Gambadipiombo consuma il suo!”.
Gioachino era rimasto a bocca aperta: quei 250mila @ avevano messo in moto, senza consumarsi, beni e valore per più di 5.000.000 @. “Ma è un miracolo”, disse Figaros. “E’ così, figliolo: il mondo, se lo guardi e lo ascolti, può andare bene. Ti chiede, ti domanda: lavorami, mettimi a frutto. Quel ruscello mi chiamava e diceva: ‘Mettimi su una ruota, investi in me, fatica per me e vedrai i frutti per te e per tutti’. Metti una ruota tra le risorse e il bisogno, e si genera un ciclo vitale: non sei tu la fonte del valore, tu obbedisci e la realtà dischiude il suo volto benefico”.
Stava a sentire da fuori la finestra Bacetti, l’aiutante di Buenos Fuegos: era passato lì per caso ed era stato incuriosito dal dialogo. “Però, molto interessante… me ne ricorderò per il discorso alla festa del lavoro; verrà benissimo”.