La collaborazione tra il Comune di Milano e il Philadelphia Museum of Art è all’origine della splendida mostra allestita a Palazzo Reale, “Impressionismo e avanguardie”, che ha portato in Italia, per la prima volta, cinquanta capolavori di fine Ottocento e della prima metà del Novecento custoditi dal museo. Le ragioni per cui merita di essere vista sono molteplici. Innanzitutto mette sotto i riflettori una storia di grande collezionismo d’arte impressionista e moderna in America, che ha portato nel Museo di Filadelfia — già nel 1921 — dipinti impressionisti. Furono Mary Stevenson Cassat, pittrice impressionista americana, e Durand-Ruel mercante d’arte e gallerista, ad allestire nel 1886 a New York la prima mostra di pittura impressionista con ben duecento opere. Grazie a loro i benestanti di Filadelfia hanno potuto conoscere la pittura impressionista e comprare le opere di quei grandi artisti che in quegli anni in Europa non erano ancora molto apprezzati. Successivamente nella prima metà del Novecento altri collezionisti di Filadelfia hanno continuato a comprare opere delle correnti pittoriche più moderne e innovative: la scuola di Parigi, cubismo, astrattismo, surrealismo. Tuttavia la ragione più importante per visitare questa mostra è la possibilità di percorrere un pezzo di storia dell’arte, guardando le opere, sostando nei suoi passaggi più delicati, in quei decenni decisivi per la nascita dell’arte moderna, segnati da un profondo cambiamento di mentalità. 



Si inizia così da Manet che per primo ha sganciato l’arte dal soggetto e da ogni preoccupazione stilistica per aprire la strada alla sua completa autonomia e si continua con una opera straordinaria di Monet del 1873, il sentiero riparato. La novità della pittura impressionista — rappresentata oltre che da quattro quadri di Monet anche da opere di Renoir, Sisley e Pissarro oltre a Mary Cassat e Berthe Morisot — è quella di cogliere gli effetti di luce nell’attimo fuggevole. E’ una straordinaria carica di vitalità e di stupore che ci comunicano questi pittori e coloro che accusavano e accusano l’impressionismo di “superficialità” perché teso a cogliere solo l’apparenza della realtà attraverso l'”impressione” ottica, dimenticano che l’inizio di ogni dinamica di conoscenza è lo stupore per la bellezza esteriore, e che anche l’apparenza delle cose può comunicare una vibrazione così forte all’animo da accendere il presentimento dell’Essere. 



Cézanne, rappresentato in mostra da tre quadri, attraverso la sua opera sembra porre la seguente domanda “filosofica”: come si fa a conoscere la realtà? Il pittore di Aix-en-Provence è teso a costruire la forma, ma quella forma durevole che costituisce l’architettura dell’oggetto, il suo scheletro. Ecco quindi lo stile di Cézanne fatto da pennellate di colori diversi che scompone l’oggetto in piani e figure geometriche. Gauguin presente con una sola opera — del 1886 —, inizia un procedimento pittorico di astrazione dalla realtà, che avrà un’importanza fondamentale in tutta l’arte successiva e che è stato definito dallo scrittore Mallarmé “simbolistico”. Arriviamo così alle due opere di Van Gogh presenti in mostra — del 1888 —; la pittura di questi ultimi anni — tutta giocata e “rischiata” nei contrasti cromatici —, è un campo di battaglia dove l’artista combatte soprattutto con se stesso o contro se stesso.



Picasso, sviluppando l’intuizione di Cézanne, continua la riduzione geometrica delle forme visibili ma ora da più punti di vista, tutto è scomposto e frammentato per essere di nuovo ricomposto secondo il sentire dell’artista; dell’oggetto reale rimangono solo rapporti formali e strutturali. Nelle opere del cubismo — rappresentato in mostra da tre opere — Picasso è ancorato alla realtà visibile ma essa è solo un punto di partenza, quasi un pretesto. 

Gli artisti che hanno segnato più fortemente l’arte moderna sono però Paul Klee e Wassilij Kandinskij. Il primo — la cui opera teorica è pari per importanza a quella di Leonardo da Vinci — nel 1920 scriveva: “L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile” e la sua bellissima opera presente in mostra, Carnevale al villaggio del 1926, insieme a quella di Kandinskij Cerchi in un cerchio del 1923, esprimono ormai una nuova mentalità nei confronti del dato visibile. Esso non è più sentito interessante dall’artista: se ne può fare a meno. Sigmund Freud pubblica nel 1900 La scienza dei sogni. Ci sono altri mondi da rappresentare, altre dimensioni, altre realtà. Con le opere di Dalì, Mirò e Tangy la mostra ci porta nel mondo del surrealismo. L’arte della prima metà del XX secolo — che affonda le sue radici nella filosofia, letteratura e psicologia — nasce da un disinteresse per la realtà visibile e da un bisogno, forse inconfessato, di totalità, quella totalità di cui l’apparenza non è più segno.