A 14 anni dalla pubblicazione di Contro il fanatismo, Amos Oz torna sull’argomento, sempre attualissimo, con Cari Fanatici, una variazione sul tema che si articola in tre brevi saggi, dove il maggiore degli scrittori in lingua ebraica ribadisce la sua posizione sull’intricata questione arabo-israeliana

Oz si considera — honoris causa — un esperto di “fanatismo comparato”, e se non disdegna di immedesimarsi con la mente di un kamikaze, come ha fatto nel saggio scritto a quattro mani con Christoph Reuter, Paradiso adesso: 24 ore nella testa di un Kamikaze, in Cari fanatici tutte le sue premure sono rivolte ai fratelli ebrei.



È proprio quello domestico il fanatismo che più lo preoccupa: quel fil rouge che unisce i religiosi oltranzisti, che ancora non hanno digerito la nascita dello Stato — che in quanto tale è laico (o almeno ci prova) —, i coloni che occupano i Territori e gli anti-sionisti di sinistra, in auge ormai anche in terra di Israele.



Tra la variegata schiera dei fanatici locali, che rischiano seriamente di inimicare il mondo intero alla causa di Israele, non manca chi ormai “si annoia a gestire il conflitto” arabo israeliano e avrebbe voglia “di condurci a una guerra con tutto l’islam”. C’è chi teme la pace come fattore di indebolimento dell’identità ebraica, chi ripudia la democrazia come prodotto d’importazione, chi auspica una dittatura con annesso regime di apartheid per i palestinesi. Chi pure è arrivato a far proprio il “concetto mostruoso” di “sangue ebraico”, l’architrave “assolutamente centrale nelle leggi di Norimberga siglate da Hitler” e totalmente assente nella Bibbia, dove si rammenta che “il tuo sangue non è più rosso” di quello del tuo prossimo.



Paragonato dalla critica ai grandi della letteratura mondiale di ogni epoca Oz annota che un romanziere dà vita nello stesso racconto ad almeno sei o sette personaggi che vivono di vita propria: con una propria sensibilità, propri interessi, un proprio pensiero irriducibile e talvolta opposto a quello di un altro personaggio. In essi l’autore è egualmente credibile per quanto nessuno lo rappresenti tout court: una sinfonia ma non priva di dissonanze, come nel caso della visione della nascita dello stato di Israele, considerata dal lato ebraico e dal lato degli arabi, che da settant’anni la indicano con la parola nakba: catastrofe!

Difficile immaginare un punto di vista più lontano dal senso di protezione che il nascente stato di Israele offrì a milioni di ebrei che lo adottarono come il proprio “focolare”. Un temine caldo e affettuoso più vicino al senso che diamo alla parola casa che non a quello che diamo alla parola Stato. Una situazione paradossale che Oz rende plasticamente con l’immagine di un uomo che si salva cadendo da un alto edificio su un altro uomo. La salvezza del primo coincide con la “disgrazia” dell’altro. Dar voce e contestualmente contribuire a sanare questa contraddizione storica è la vocazione di Oz come scrittore e come cittadino israeliano.

Oz è anche un lucido, per quanto complesso, pensatore politico che Shimon Peres aveva indicato come suo possibile successore alla presidenza dello Stato: sionista favorevole a uno stato nazionale palestinese, laico senza tentazioni laiciste, pacifista e sergente maggiore — senza rimpianti — dell’esercito israeliano, appassionato cultore della letteratura ebraica che non ha dubbi nell’indicane Tel Aviv come il vertice della creatività ebraica, “una creazione collettiva di tutto il popolo (…) forse persino più importante di tutta la letteratura rabbinica della Diaspora”.

Strenuo difensore del diritto degli ebrei di vivere “come popolo libero sulla propria terra”, Oz lo è parimenti del diritto dei palestinesi: “una persona ragionevole non può far a meno di sostenere questa lotta, anche se non con i mezzi che loro usano”.

“Se molti palestinesi (…) conducono una guerra che ha il fanatico obiettivo di cancellare lo stato di Israele” non per questo le cose sono tutte bianche o tutte nere: “due guerre si portano avanti dunque qui: una inequivocabilmente giusta e l’altra assolutamente sbagliata. Una specie di Dottor Jekyll e Mister Hyde”. “Quasi lo stesso si può dire dello Stato di Israele: anche qui abbiamo dottor Jekyll e Mister Hyde. Anche in Israele si combattono due guerre allo stesso tempo: una assolutamente giusta, l’altra è una guerra di oppressione, torto e soprusi”. Due vicoli ciechi contrapposti, due situazioni che a molti sembrano ormai irreversibili: “l’aggettivo che ultimante più mi irrita”.

Per la logica di Oz non c’è nulla di irreversibile, soprattutto in medio oriente dove il termine “mai” indica un lasso di tempo compreso “tre i sei mesi e trent’anni”. Nell’ottica della reversibilità neppure il più odiato dei nemici è solo un nemico: “con la violenza — aveva dichiarato a un quotidiano italiano — puoi trasformare il nemico in uno schiavo, ma non in un amico, purtroppo, pochi qui lo capiscono”.

È la logica controintuitiva figlia del precetto (logico, economico e politico): “amate i vostri nemici e chi vi perseguita” dell’ebreo Gesù. Un personaggio con cui Oz discute spesso nei suoi libri, verso il quale nutre da anni un sincero, seppur confuso, interesse.