È morto lo storico studioso del Medio Oriente conosciuto in tutto il mondo: aveva 102 anni da compiere Bernard Lewis e da decenni era uno dei capostipiti degli studi mondiali sull’Islam e le plurime civiltà dei musulmani nel corso della storia. Aveva dedicato l’intera sua esistenza allo studio del Medio Oriente, pur essendo nato in Gran Bretagna: la famiglia era di origine ebraica e durante la Seconda Guerra Mondiale era già un brillante studioso e storico che provava ad affrontare tra i primi i contrasti tra la civiltà araba e quella occidentale-europea. Dopo tantissime opere e infiniti approfondimenti sul tema, nel 1990 coniò una delle espressioni più utilizzate nel mondo storiografico: teorizzò lo “scontro di civiltà” tra Islam e Occidente, che poi Samuel Huntington avrebbe reso popolare. Lewis è morto ieri in una casa di riposo a Voorhees, nel New Jersey, all’età di 101 anni: a darne annuncio della scomparsa è stato il suo intimo amico e co-autore Buntzie Churchill al Washington Post. Il grande storico mediorientalista è stato tra i massimi curatori della Cambridge History of Islam, “monumento” tra i saggi del genere anche oggi.



DIFESE ISRAELE E TEORIZZÒ LO SCONTRO DI CIVILTÀ

In tanti dei suoi lavori aveva teorizzato da vicino e con numerosi riferimenti storici, la difesa dello Stato d’Israele nato e creato in mezzo ai paesi arabi dopo l0immane tragedia della Shoah: in “Semiti e antisemiti” Bernard Lewis scriveva come le accuse di razzismo rivolte a Israele andavano completamente rigettate, «mostrava come l’ostilità araba e sovietica verso il sionismo si nutrisse ampiamente dell’antico pregiudizio antiebraico», riporta il Corriere della Sera. Non poche le antipatie attirate con queste posizioni anche se restò comunque un capostipite della storia islamica in tutta l’evoluzione dell’Occidente: in epoca più moderna, dopo il clamoroso attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, Lewis fu uno dei fautori più convinti della necessità di attaccare Afghanistan e Iraq per le loro colpe. Nel settembre 2001 espose le sue tesi sull’Islam al Defense Policy Boards della Casa Bianca e suggerì schiettamente di attaccare l’Iraq: riuscì a convincere i collaboratori e lo stesso George W. Bush che qualche anno dopo avanzò con i marines sul Golfo dilaniato da Saddam Hussein. «Nei paesi musulmani va promossa dall’Occidente non la stabilità a ogni costo – con i soliti tiranni – ma la democrazia, se necessario anche con la forza», sosteneva in parecchi volumi lo storico britannico. In sostanza, l’unico modo per poter sconfiggere l’islamismo terrorista e lo scontro annoso con l’Occidente è quello di «strapparli dall’umiliazione verso se stesso e dall’odio verso l’Occidente cristiano accumulati a partire dalla fallita conquista di Vienna nel 1683, e poi col declino e il crollo dell’impero ottomano, il fallimento del nazionalismo arabo», si legge nel “Modern Jihad and the Roots of Muslim Rage”.

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