Poiché non tutti sanno che nella superficie dell’Africa stanno comodamente Cina, India e Usa, un’iper-mappa del continente nero ha fatto da sfondo fisso al workshop di presentazione dell’ultimo numero di Atlantide, quadrimestrale della Fondazione per la Sussidiarietà. “Africa, Afriche / Educazione e lavoro, trampolini per lo sviluppo” è il titolo sotto il quale Giorgio Paolucci ha composto un vero e proprio “libro bianco”, zeppo di informazioni-provocazioni contro tutte gli stereotipi datati dell’Africa post-coloniale ma — di più — contro tutte le narrazioni pericolose sull’Africa neo-coloniale. Fra tutte — ha detto in Università Cattolica il segretario generale dell’Avsi, Giampaolo Silvestri — la più insidiosa è l’idea che lo sviluppo dell’Africa debba necessariamente ripercorrere le vie seguite da altri nello spazio-tempo del globo.



“In Africa vi sono scuole e ospedali fondati molto prima che nascessero gli stati indipendenti — ha detto —, sono quelle le radici della società africana contemporanea. E’ da lì che l’Africa è partita e che deve partire chiunque voglia essere partner del continente”. Oggi ci sono più medici e infermieri ugandesi a Londra che in Uganda: ma è una situazione sempre meno sostenibile mano a mano che si approssima il giro di boa di metà secolo, quando è atteso che l’Africa sia la macro-area più popolata del globo.



“L’Africa è finalmente visibile su tutti i tavoli”, ha detto Janine Tagliante Saracino, ambasciatore della Costa d’Avorio in Italia. “Gli africani dall’Europa sono oggi vissuti come migranti, ma nella loro storia sono popolazioni stanziali, radicate nelle loro terre”, ha sottolineato l’ambasciatore, poche settimane dopo la storica dichiarazione di Kigali fra 44 Stati del continente. Stati, popoli, individui capaci e desiderosi di autonomi percorsi di crescita. Quelli che ha deciso di sostenere un’iniziativa-pilota come E4Impact: incubata dalla Cattolica (Always Africa), dalle famiglie Moratti e Squinzi e dal gruppo Salini, con Eni e Bracco come sostenitori principali.



“I nostri Mba in partenariato con università africane — ha ricordato la presidente di E4Impact, Letizia Moratti — non vogliono insegnare imprenditorialità, ma allenare imprenditori d’impatto, che valorizzino i loro talenti per innescare spirali virtuose e originali di sviluppo nei loro territori”. Una sfida — quella dell'”Africa agli africani” — oggi sempre più geopolitica, ha ricordato in conclusione Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà: soprattutto dopo l’accelerazione del neo-colonialismo cinese.

Pechino ha avuto buon gioco, negli ultimi due decenni, nell’inserirsi fra le contraddizioni del post-colonialismo europeo: e in cambio di miglioramenti effimeri del reddito pro-capite ha avviato una vera e propria politica di conquista di un immenso giacimento di materie prime (anzitutto la terra: il fenomeno del land grabbing, con l’esodo forzato di molte popolazioni native, si è intensificato con l’aumento della pressione dei cosiddetti “investimenti” del Dragone). Un’area naturalmente dedicata a svilupparsi grazie alle energie alternative, alla forestazione eco-compatibile, all’agricoltura estensiva e soprattutto intensiva, capace non solo di sfamare la popolazione locale, rischia di ritrovarsi ammassata nell’area subsahariana e incolonnata verso le coste del Mediterraneo in cerca di una migrazione difficile. E’ questa l’Africa che molti europei credono di conoscere, in un misto di paura e fastidio. Non è questa l’Africa che gli africani vogliono per sé e grazie a un’Europa che sappia guardare all’Africa per quello che è può essere.

Nicola Berti