Negli anni Sessanta-Settanta Mosca poteva contare su circa 25mila persone addette allo spionaggio (il Kgb e il Gru). Nell’ambasciata sovietica a Roma ne erano dislocati circa 250, cioè un numero pari all’intera rappresentanza diplomatica di Cuba. Per non parlare della schiera delle spie che lavoravano per l’ambasciata della Ddr (cioè la Germania comunista).



L’elenco di circa 140 spie sovietiche che negli anni 1960-1970 hanno circolato in Europa e specificamente in Italia reca il numero di protocollo n. 306. E’ stato depositato il 5 dicembre 2005 al Senato, a Palazzo San Macuto, nell’archivio di una delle commissioni bicamerali d’inchiesta (quella dedicata al dossier dell’archivista col. Vasilij Mitrokhin). L’incarto venne faxato dalla Questura di Torino al presidente della Commissione Mitrokhin, sen. Paolo Guzzanti. Ci sono nomi, cognomi, funzioni, passaggi da un paese all’altro dell’Europa occidentale degli uomini del Kgb.



Questa documentazione si andava a sommare a un’altra più voluminosa. Si tratta del dossier (6 casse, 3.500 rapporti di controspionaggio, di cui circa 261 schede solo per l’Italia) dell’archivista del Kgb Vasilij Mitrokhin. Erano pervenute al Sismi dal controspionaggio inglese al quale il bibliotecario sovietico le aveva destinate abbandonando il suo paese.

L’incarto della questura di Torino non è mai stato, volutamente, approfondito e studiato dai circa 60 membri della Commissione presieduta da Guzzanti.

A rinvenirlo nelle sue ricerche è stato Salvatore Sechi, docente universitario di storia contemporanea negli atenei di Venezia, Bologna e Ferrara, direttore dell’Istituto Italiano di San Francisco, e consulente della Commissione Mitrokhin e dell’antimafia. L’editore Goware pubblicherà a breve un nuovo lavoro di Sechi sull’argomento, intitolato Il Pci e lo spionaggio industriale sovietico. Un testimone si confessa.



Professore, sono davvero così preziosi questi due dossier?

Un risultato importante lo si è ottenuto: quello di gettare un fascio di luce sulla penetrazione (cioè lo spionaggio continuo) dell’Urss e dei paesi del Patto di Varsavia verso l’Europa occidentale.

Qual era il terreno sul quale lavoravano gli agenti dell’Urss?

Dovevano intercettare prevalentemente informazioni di tecnologia industriale di grandi aziende italiane (e non solo italiane) per poterle poi utilizzare a scopi militari, il settore in cui l’Urss era più debole. L’interesse si è venuto spostando progressivamente verso gli elaboratori elettronici, computer, i grandi sistemi d’arma. Penso all’acquisizione della nuova generazione di missili balistici intercontinentali sovietici.

Quali erano le aziende nel mirino?

Molte, prime fra tutte Fiat e Olivetti, Aeritalia, Finsider ma anche Eni, Esso, Montedison, Shell.

L’episodio più grave (se ne occupò  a Parigi il Cocom, l’organo di vigilanza creato nel 1949 dagli Stati Uniti e dai maggiori paesi europei per evitare abusi) ebbe luogo nell’ottobre del 1989. Protagonista fu la Olivetti.

L’accusa mossa all’azienda di Ivrea fu molto grave, cioè di contrabbando di macchinari computerizzati adibiti alla costruzione di sistemi d’arma aeronautici.

Due dirigenti dell’azienda piemontese (uno a Ivrea, l’altro a Mosca) saranno condannati per spionaggio a favore del Kgb.

E’ vero, ma occorre aggiungere che il proprietario della Olivetti, Carlo De Benedetti, fu assolto dal reato di aver sollecitato la liberalizzazione dei materiali di alta tecnologia suscettibili di utilizzazioni militari presentate alla riunione di Parigi del Cocom, e accolta dallo stesso ministro degli Esteri Gianni De Michelis. A chiedere di bloccarla fu il Center for Security Policy del Pentagono. Alla Mitrokhn nessuno, neanche i rappresentanti del centrodestra (il presidente Guzzanti e il collaboratore del Giornale di cui era vicedirettore, Pierangelo Maurizio), e neanche di centrosinistra (ma in questo caso si capisce) riprese l’argomento.

Il Pci che ruolo ebbe in questo gioco dello spionaggio?

Sapeva tutto, ovviamente, e forniva copertura politica e logistica. Non si ama mai ricordare che il Kgb aveva una linea di controllo diretto, cioè che non passava attraverso il Pcus, su una parte dei dirigenti, addirittura in ogni federazione provinciale. In secondo luogo, era stata creata, per conto di Mosca, una rete di spionaggio industriale nei confronti della Fiat e dei gran di gruppi.

Chi la dirigeva?

Un emiliano, così come era romagnolo il responsabile dell’apparato para-militare. Ma alla Fiat Valletta licenziò due dirigenti comunisti. Venne evitata l’apertura di un processo per spionaggio e alto tradimento, d’accordo col ministero dell’Interno. Allora certe cose andavano così.

E per quanto concerne le spie sovietiche del dossier citato?

Molte di esse sono state espulse su pressione della Nato. Erano personaggi che agivano in gran parte sotto l’ombrello diplomatico. Come accade anche oggi. In quella lista c’erano alti ufficiali dell’esercito che poi occuparono posizioni di vertice una volta rientrati in patria.

Che ruoli ricoprivano?

Erano posizioni di vario genere. C’era un agente del Kgb che a Roma utilizzava una copertura giornalistica, un altro era esperto in rapporti commerciali, un altro ancora si occupava della manutenzione di ricetrasmittenti nascoste.

Lei come ha avuto la lista delle 140 spie?

L’ho consultata presso la questura di Torino. Ma c’è un’altra persona che rivendica l’autenticità del dossier. E’ la signora Lorenza Cavallo, che vive tra Parigi e la Linguadoca, a Beziers. E’ in possesso di un importante archivio, quello raccolto dal marito, Luigi Cavallo.

E’ presente in diverse vicende del dopoguerra.

E’ stato un esponente della lotta partigiana in Piemonte e inviato speciale de l’Unità. Anche dopo la rottura col Pci stalinizzato resterà schierato in prima linea, in Italia e in Europa, contro il totalitarismo comunista. La lista degli agenti del Kgb, da Cavallo elaborata a metà anni Settanta, stava per essere stampata quando la polizia la sequestrò in una perquisizione concernente il caso Calvi.

Perché questa lista trovò scarso credito all’interno della commissione Mitrokhin?

Credo per ragioni di quieto vivere, forse di scambio di favori tra centrodestra è centro-sinistra fra i vertici della commissione stessa. Il dossier sulle 140 spie venne prima tenuto a bagnomaria, cioè non archiviato né protocollato. Il capogruppo dei diessini lo liquidò come una patacca. Si cercò anche di impedirmi la pubblicazione di un saggio sui rapporti, compresi i massicci finanziamenti erogati da Mosca, tra il gruppo dirigente del Pci (Luciano Pecchioli, Giorgio Amendola, Armando Cossutta, ecc.) e il Kgb.

Ci sono stati altri dossier oscurati per motivi politici?

Anche in un altro episodio non si vollero accertare i legami tra il controspionaggio sovietico e, per esempio, lo staff dei collaboratori militari   del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, di un’agenzia parlamentare legata al Pci e di un personaggio dell’Italia laica come Antonio Maccanico.

Può dirci quali prove ha addotto per una denuncia di quest’ultima entità?

Sono informazioni che ho tratto da una relazione del Diparti mento di Stato e della Cia. Depositandola e protocollandola presso l’archivio della Commissione Mitrokhin, ne ho offerto una copia con i passaggi più interessanti. Nell’agenzia Ansa ho avuto una lunga discussione col mio vecchio professore Francesco Cossiga, che aveva mandato addirittura a Washington il capo dei nostri servizi, ammiraglio Fulvio Martini, per far modificare il giudizio della Cia su Maccanico. Si era alla vigilia del governo Craxi e sul manager repubblicano avevano ripreso a circolare le vecchie accuse. Ebbene, nessuno ha mosso un dito.

Che altro c’è da scoprire sul Kgb?

Ancora molto, mi creda.