Caro direttore,
è stato davvero ineccepibile il comportamento del capo dello Stato Sergio Mattarella nel corso della crisi di governo? E’ quanto sostengono i giornaloni, infilando in qualche tasca interna argomenti e dati di fatto che li smentiscono. Purtroppo il nostro è un paese dove la corsa a mettersi in fila per servire il vincitore o il più potente è nei secoli fedele a se stessa, cioè non subisce deroghe.
Non ci sarebbe, dunque, nulla per cui valga la pena stracciarsi le vesti se non il rischio che gli errori e le scelte sbagliate di Mattarella possano avere conseguenze sempre più gravi sui risparmiatori e i generale sui redditi di chi vive di lavoro salariato e non di rendite.
Quali sono state le azioni sbagliate di Mattarella?
1. I risultati elettorali del 4 marzo hanno sancito col 37 per cento dei voti la vittoria della coalizione, compattatasi su un programma comune, del centrodestra. Pertanto, l’incarico di formare un governo ed elaborare un programma di legislatura andava affidato all’esponente più votato, cioè al segretario della Lega Matteo Salvini oppure ad un dirigente di Forza Italia o di Fratelli d’Italia. A scelta dell’inquilino del Quirinale.
2. Il Capo dello Stato ha preferito disattendere questa prassi e cercare la soluzione del governo favorendo un accordo tra la Lega e il Movimento 5 Stelle. Sono le due forze che durante le elezioni (ma anche prima) si erano combattute aspramente, direi senza esclusione di colpi.
3. Non è mai intervenuto a denunciare un abuso, cioè una violazione costituzionale. Mi riferisco alla lunga campagna, anche post-elettorale, con cui Di Maio si è presentato come presidente del Consiglio. Poiché la nomina a questo incarico è una prerogativa costituzionale affidata al capo dello Stato, era un dovere di Mattarella informare l’opinione pubblica che quella di Di Maio era un’auto-investitura. Il ruolo di premier poteva essergli affidato solo dal Quirinale. Andava cioè stroncata sul nascere ogni pretesa in tal senso, certamente legittima ma formalmente inesistente. Ebbene, Mattarella ha abbozzato, cioè è stato zitto, avallando in questo modo l’esibizione abusiva di Di Maio.
4. Lega e 5 Stelle hanno proposto un premier di loro scelta. Anche questa è stata un’invasione di campo che la Carta costituzionale non delega a Di Maio e a Salvini o a chiunque fosse al loro posto. Era compito di Mattarella far presente agli elettori e ai cittadini che la scelta della persona alla quale assegnare il tentativo di formare il governo era anch’essa una sua precisa competenza istituzionale. Invece non ha mosso un dito e ha lasciato fare i due capi dei maggiori partiti. Così, essi hanno dapprima scelto il mio collega e amico Giulio Sapelli. Avendo egli manifestato la volontà di non essere un mero esecutore dei desideri della nuova partitocrazia, e quindi di voler assecondare i compiti riservatigli dai costituenti (l’elaborazione del programma, e la guida dei ministri scelti eccetera), è stato giubilato su due piedi, come un terzo incomodo.
La sostituzione di Sapelli non è venuta da una proposta di Mattarella. Egli sulla vicenda ha serbato un inammissibile e complice silenzio.
5. Successivamente, c’è stato il convergere di 5 Stelle e Lega sul docente dell’ateneo fiorentino Giuseppe Conte. Il premier designato ha fatto proprio il programma di governo e le proposte di incarichi ministeriali prospettate da Di Maio e Salvini e pari pari li ha presentati al capo dello Stato. Il quale non ha detto parola di fronte al fatto che anche su questi punti venivano manomesse le attribuzioni costituzionali. Infatti, la definizione degli aspetti programmatici e la proposta dei ministri che venivano lasciati all’ alleanza dei maggiori partiti erano, e sono, in realtà, di competenza del premier. Ma il professor Conte è stato solo un ospite transeunte, per nulla interessato ad esprimere un’opinione dissenziente o solo personale. Lucus a non lucendo.
6. Coerentemente con quanto precede, Mattarella non ha certamente fatto eccezione di fronte all’affaire Paolo Savona. Spettava certamente a lui decidere se formalizzarne la nomina a ministro dell’Economia avanzata in primo luogo da Salvini e Di Maio, e come ruota di scorta da Conte. Sulla base dell’esperienza repubblicana, non spetta al Capo dello Stato demonizzare — sulla base di pressioni esterne — il profilo di un candidato ministro. E’ poi un falso inverecondo additare Savona, invece che come un critico anche severo dell’Unione Europea, come un suo spietato e irreversibile avversario. E’ stata un’azione di indebita violenza da parte del Quirinale costringerlo a redigere una lettera in cui ha ribadito la sua fedeltà all’Unione. Non ha rinunciato, essendo uno studioso e non uno sciuscià, al dovere di denunciare i soprusi, le diseguaglianze e le disarmonie di un’architettura che vive di una comune morfologia monetaria ma manca di strumenti collettivi di intervento fiscale, di politica economica, di organizzazione della sicurezza e della difesa eccetera. Inoltre in nessun momento precedente della crisi Mattarella aveva accennato all’importanza dell’Unione Europea, alle riforme attese, ai pericoli incombenti.
In secondo luogo, non si capisce perché dal giorno alla notte il Quirinale abbia voluto redigere un cahier des doléances con i reati di opinione in cui sarebbe incorso un libero cittadino e uno studioso non conformista come Savona. Come mai il Quirinale non ha usato lo stesso criterio di due diligence, elevando a valore il primato delle competenze di fronte alla proposta di nominare alla testa del ministero dell’Interno, come del Lavoro e dello sviluppo economico, due dirigenti politici che non hanno alcuna competenza nei relativi settori specifici? Lo stesso rilievo si potrebbe fare praticamente per quasi tutti i ministri proposti.
La presidenza del Consiglio andava data a Di Maio, lasciandolo libero di condividere le proposte di Savona. Mi pare facile profezia che il governo concordato con Salvini, anche per l’impossibilità di realizzare un programma contraddittorio e dai costi insostenibili, si sarebbe dissolto in una selva di contenziosi nel giro di poco tempo.
Il capo dello Stato ha preferito un’altra strada, cioè aggravare le divisioni politiche e sociali di questo paese, spingere l’economia verso il collasso, fare dell’adesione all’Europa un tema altamente incerto (quale finora non è mai stato), cioè oggetto di un contenzioso popolare.
In questo modo il Quirinale contribuirà alla crisi del paese (quella più povera, più produttiva, più esposta sui mercati internazionali). E volendo punire i due partiti “populisti” (M5s e Lega), ha finito per dare un apporto sensibile, alle prossime elezioni, perché incamerino il più grande dividendo di consensi mai registrati nel dopoguerra. Lavoro ben fatto. Peccato che ad avvantaggiarsene sia il re di Prussia.