Questa è la storia di una tapparella che non si è abbassata. Era l’alba del 16 luglio 2013, millesettecento notti fa. Siamo ad Ostia, d’estate: il mare con la sua battigia, sdraio e abbronzatura, caffè e buone notizie. La più buona, però, è una notizia ancora lungi da gustarsi. Nella notte si odono colpi di pistola. Ad Ostia, anche se nessuno allora voleva ammetterlo, il mare era prigioniero. Il grande prigioniero della criminalità: “E’ all’ombra di quel lungomuro che gli appetiti della malavita si sono consumati senza ritegno”.



Pronunciare Fasciani-Triassi-Spada era professare il credo nella trinità laica di quel pezzo di mondo. Ogni cosa che avveniva — avvenivano tante cose — era frutto di un incrocio di nomi: “Nel nome dei Fasciani, dei Triassi e degli Spada” (Amen) si era abituata a pronunciare la gente: per paura, per comodità, perché si era sempre fatto così. Amen, a Ostia, è una tapparella che si abbassa, uno sguardo che si addormenta: “Le persone, tutte insieme, rientrarono in casa e tirarono giù, in un unico desolante rumore, le tapparelle”. 



Il rumore di quell’amen è sbruuum: omertà. A intimare quell’omertà non sono quattro galline, è un boss, appartiene al clan spietato degli Spada: “Il boss aveva ordinato di rientrare e il quartiere aveva obbedito. Desolante”. La tapparella di Federica, invece, regge l’urto di quell’intimidazione: loro puntano la pistola, lei punta la penna. E’ l’incipit della sua dichiarazione di guerra.

Da allora Federica Angeli — cronista di Repubblica e nemica giurata di quella sorta di trinità invincibile — vive sotto scorta. Blindatissima fino a sopra i capelli, agisce A mano disarmata (Baldini+Castoldi, 2018). 



Millesettecento notti sotto scorta per ridare alla sua Ostia (città dov’è nata, cresciuta, dove si ostina a rimanere con la famiglia) la forza di un sogno: che nessuno, e non solo lei, debba mai più abbassare quelle maledette tapparelle. E’ guerra: tra intercettazioni, faldoni giudiziari, pedinamenti, inchieste, appostamenti. Faccia a faccia diretti col male. Quello che ti sequestra l’anima e il corpo, quello lurido che minaccia di attaccarti gli affetti, la bestia di sangue che scompare per esserci. 

Ostia, da troppo tempo, era terra di nessuno: loro lo sapevano. Non avevano calcolato che anche Federica non era di nessuno: è di tutti quelli che amano la libertà, la verità, la luce. E’ una tigre d’assalto, con la sua femminilità cucita addosso: perché rinunciare alla sensualità donna quando si sa per certo che il male la odia? In guerra ci si va per amore: per fare l’amore col bene, sotto gli occhi diretti del male. Anche se, vivendo così, s’impara presto il complemento di solitudine assoluta: “La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza” annota con candidezza Federica citando Pier Paolo Pasolini. “La mafia è una montagna di merda” scriveva Peppino Impastato, ribelle alle leggi della mafia ucciso a Cinisi il 9 maggio 1978. Nessuna perla, però, si scioglie nel fango: provateci. Del cronista, Federica è maestra, è avere “la capacità di sporcarsi le mani e di guardare la realtà per quello che è per poi descriverla senza veli al lettore”. A voce alta, per dire che il problema di Palermo, mentre ammazzavano Falcone-Borsellino, non era il traffico, ma la mafia. Che a Ostia, mentre tentano l’assalto alla speranza, il problema non sono le buche, ma la criminalità.

La sfottono: “Il loro intento è farti perdere concentrazione dalle cose serie”. Ne irridono il sistema di sicurezza: “Fa la vip con la scorta”, come se andare a comprarsi la biancheria intima scortata fosse il sogno di una donna. Minacciano i suoi bambini: “Non c’era la mafia o i miei affetti. Conta solo sconfiggere la mafia per i miei affetti”. Come fare per non tirare giù la tapparella? “Comincia uno, l’altro ti viene dietro e poi il mondo si ribalta. E vince”. Con una semplicità ustionante: le parole dritte, penna puntata, a mano disarmata. “La mafia a Ostia c’è”: adesso lo dice anche la giustizia. Anche Federica c’è. C’è sempre stata.

Chi non la vedeva, adesso abbassa lo sguardo: la scorge disarmata. Letale.