Le immagini parlano, ma quasi mai in modo univoco. Mi dà lo spunto per tornare su questo tema, così importante in anni di inflazione delle rappresentazioni visive, un recente libro di Stefano Campanella (I tre misteri della morte di Padre Pio, San Paolo 2018). Campanella è direttore della televisione dei Frati Cappuccini e autorevole studioso della figura del Santo. Nel libro, tra l’altro, ricorda come le stimmate di Padre Pio scomparvero negli ultimi giorni della sua vita. Il tema ha una sua attualità perché nel prossimo settembre ricorreranno cinquant’anni dalla morte del frate del Gargano e cento dalla comparsa delle stimmate. Campanella riporta testimonianze di chi ispezionò la salma del Santo, non trovandovi né ferite né cicatrici. Di tutto ciò esiste abbondanza di fotografie e filmati. Il frate si nascondeva con dei guanti, che però toglieva durante la celebrazione della Messa. In quelle occasioni, nonostante le lunghe maniche dei paramenti, al momento della elevazione scopriva le ferite. Le sequenze girate da Gaetano Mastrolilli durante la Messa per l’inaugurazione dell’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, il 5 maggio 1956, sono a proposito documenti impressionanti. Altrettanto significative sono le riprese della sua ultima Messa, girate da una troupe straniera a poche ore dalla sua morte, nelle quali si vede chiaramente come ogni segno sia scomparso. Quindi grande documentazione visiva, ma, paradossalmente, altrettante polemiche, perché sulla natura delle stimmate le opinioni si dividono, anni fa anche nella Chiesa (oggi, dopo la santificazione, direi non più). 



C’è un’analogia con le vicende del primo stigmatizzato della cristianità, San Francesco. Il Santo di Pietrelcina ebbe quello di Assisi come modello e condivise con lui l’immedesimazione al Crocifisso, culminata nelle stimmate. Ma al contrario di Padre Pio, che le ricevette da giovane e le portò per ben cinquant’anni, Francesco d’Assisi ebbe “del Cristo l’ultimo sigillo” — come dice Dante — al termine della sua esistenza. Non le aveva quando giunse in pellegrinaggio a Subiaco intorno al 1224, dunque a pochi mesi dalla morte, avvenuta nel 1226.  Anche in questo caso ci soccorrono le immagini. E infatti nell’affresco che lo ritrae a grandezza naturale nel Sacro Speco di Subiaco le sue mani non hanno ferite. Le hanno invece nell’affresco della Basilica inferiore di Assisi, opera del Cimabue, come pure nella tavola a tempera, custodita nel museo della Porziuncola. Ci sono poi ovviamente i cicli di Giotto. Anche nella storia di Francesco dunque immagini (pittoriche, e molte, considerando l’epoca) ma insieme dubbi. Ne diede documentazione uno studio di Chiara Frugoni, uscito negli anni novanta (Francesco e l’invenzione delle stimmate, Einaudi 1993) nel quale con un’accurata analisi la medievista riporta il tentativo della Chiesa, anche attraverso San Bonaventura, negli anni successivi alla morte del poverello di Assisi, di “normalizzare” il suo messaggio rivoluzionario, edulcorandolo, e sostiene che gli stessi affreschi della Basilica di Assisi siano da leggere in questo senso. 

Si può fare anche un passo in più. Il Francesco di Cimabue, stringendo il libro della Regola, mostra le stimmate sul dorso delle mani. Similmente fa, in una delle prime immagini a carattere fotografico, un Francesco Forgione ancora giovane frate, incrociando le due mani al petto. In entrambi i casi il segno dei chiodi è netto. Ancora per analogia, la mente va all’immagine per eccellenza della passione di Cristo, quella della Sindone di Torino, nella quale il grumo di sangue rosso vivo si stacca dal dorso (dal polso) della mano destra sovrapposta alla sinistra. Ed anche qui, pur di fronte a un documento così preciso ed unico, c’è una sterminata letteratura a favore e contro. 

A ritroso siamo condotti dunque dal secolo scorso, in cui iniziava la proliferazione delle immagini, prodromo dell’invasione cataclismica dei nostri giorni, a un medioevo in cui le immagini erano poche, ma forti e significative, all’età di Cristo, età del verbo, ma dalla quale, per un caso così eccezionale da non poter davvero essere definito solo un caso, è giunta fino a noi un’immagine sola, ma la più misteriosa di tutte. Quella, disse Wojtyla, più silenziosamente eloquente. Eppure in tutte queste vicende, se pure parlano, le immagini non sono mai l’ultima parola. Essa infatti spetta sempre al pre-giudizio, in senso buono, di chi le guarda.