Oggi la poetessa Alda Merini è tornata a rivivere tra i banchi di scuola in occasione della Maturità 2018, essendo stata, con il suo scritto, uno dei protagonisti per il saggio breve nell’ambito artistico-letterario. Amore, fragilità, solitudine, il tutto con un punto di vista prettamente femminile, sono stati punto di partenza dai quali trarre spunto per la stesura del Saggio Breve proposto agli studenti. Nota come una delle maggiori poetesse italiane contemporanee, il suo talento fu noto sin da giovanissima, quando appena 15enne esordì come autrice. La sua fu un’esistenza senza dubbio complessa, dominata dalla malattia legata al suo disturbo bipolare ma anche al tema della solitudine, appunto, che si rincorre in molti suoi scritti, anche per via dei numerosi ricoveri subiti. Uno dei suoi maggiori lavori, “La Terra Santa” nasce proprio in seguito alla drammatica esperienza in un ospedale psichiatrico. Nel 2014 lo scrittore e poeta Andrea Salvatici ne fece un accurato ritratto pubblicato sulle pagine di Sette, supplemento del Corriere. Della Merini ne aveva sottolineato “la sua voglia di essere una donna libera e diversa” con la quale “cercò di cogliere la forza e il limite della parola nel silenzio di un’immagine”. Con i suoi versi riuscì a toccare nel profondo la gente comune. Di lei si rammenta quell’originalità quasi portata all’eccesso ed alla provocazione. “Era bella e unica perché non rassicurava nessuno. Non stava da nessuna parte, e non difendeva verità assolute. Le interessava viversi così, lontana da qualsiasi convenzione o regola sociale”, la ricordava Salvatici. Alda Merini, la poetessa che viveva da sola nel suo bilocale “perché sentiva di essere libera”. (Aggiornamento di Emanuela Longo)



FRANGI “SOLITUDINE, TEMA RIDUTTIVO”

“Il tema della solitudine dell’artista, per quanto sia cruciale nel processo creativo, non lo ridurrei a solo alcun di essi, ma è un aspetto che è nel dna di ogni fattore creativo anche se si lavora in squadra. Alla fine tutti fanno i conti con l’esperienza della solitudine” commenta Giuseppe Frangi, critico d’arte e scrittore, a proposito del saggio artistico letterario, “La solitudine nell’arte e nella letteratura” in cui viene citata una poesia di Alda Merini. Frangi però critica l’eccessiva enfasi che si dà a questo aspetto con questa traccia: “C’è oggi la tendenza a dire che dal punto di vista sociologico per essere bravi artisti bisogna vivere questa esperienza di solitudine, ma questo non è assolutamente vero. Il testo proposto di Alda Merini va in questa direzione ed è sviante rispetto al modo con cui oggi si guarda ad autori come Leopardi che vengono ridotti a questo solo aspetto trattato in modo un po’ folcloristico rispetto alla profondità di riflessione che aveva. Lo stesso vale per i pittori, pensiamo a come oggi viene trattato uno come Van Gogh. La solitudine è un aspetto ma i loro meccanismi creativi travolgono questo aspetto a cui si dà troppa enfasi”. In conclusione, dice Frangi, “si è posto il tema in modo riduttivo, lo vediamo anche dalla scelta dei pittori citati, si corre il rischio di ridurre un aspetto creativo a un fatto di problematica psicologica, ma non è così e basta”. (agg. di Paolo Vites)



ALDA MERINI: LA LUCE NELLA PAZZIA

Alda Merini è la protagonista del Tema Artistico-Letterario (Saggio Breve, tipologia B) dell’esame di maturità 2018: il saggio proposto agli studenti è incentrato sui volti della solitudine, con un particolare riferimento proprio alla breve poesia di Alda Merini dal titolo “Solitudine”. «S’anche ti lascerò per breve tempo, solitudine mia, se mi trascina l’amore tornerò, stanne pur certa; i sentimenti cedono, tu resti»: su questo testo della autrice contemporanea, morta l’1 novembre 2009, ai ragazzi sono stati consegnati testi di commento e spunti originali di Petrarca, Piranello, Quasimodo, Dickinson. Sul fronte artistico invece, sono state consegnate immagini di opere legate a Giovanni Fattori, Edvard Munch e Edward Hopper. Ma è la Merini la vera protagonista del tema artistico di quest’anno, scelta alquanto interessante del Miur per poter discutere di amore, fragilità e appunto di solitudine non solo dell’anima. «Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Ma del resto dico spesso a tutti che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita», lo diceva Alda Merini in uno dei suoi testi più importanti, “La pazza della porta accanto”. In questo senso, la poetessa milanese è stata uno dei volti e delle voci più determinati della poesia contemporanea mondiale: una vita vissuta ai “limiti” della follia e della paura di non reggere il peso della drammaticità del reale, ma quella stessa “follia” è stata in grado di vedere luci, ombre e spigolature di una realtà altrimenti imperscrutabile.



LA SOLITUDINE E L’AMORE

Alda Merini era anticonformista nel senso più pieno del termine: non “contro” a prescindere, ma “per” la propria sensibilità, il proprio essere e il proprio estro poetico donato alla comunità con immane e instancabile dedizione. «Con la sua voglia di essere una donna libera e diversa, cercò di cogliere la forza e il limite della parola nel silenzio di un’immagine. I suoi versi, come polline a primavera, entravano nel corpo della gente comune. Il rosso che affiorava dalle sue labbra, dalle sue unghie, dalla pareti della sua camera, era un petalo di anemone sempre in balia dei suoi respiri, dei suoi versi, delle sue lacrime. Una donna che amava collane, orecchini, anelli giganteschi: un’alchimia personale, originale fino alla provocazione», scriveva Andrea Selvatici in un bel profilo uscito su “Sette” nel nel 2014. Rinchiusa nel corso della sua vita anche in strutture e reparti psichiatrici, la poetessa lombarda è riuscita comunque a trovare quel barlume di cielo stellato, quella “luce nel sottosuolo più oscuro”, come scriveva Dostoevskij, per poter raccontare l’amore e il dramma della solitudine di fronte alla religiosità del reale. «I suoi amori, i suoi desideri, i suoi fallimenti, i suoi versi, i suoi aforismi, come farfalle notturne testarde, continueranno a bruciare di vita contro quel cielo stellato che ha solo bisogno per sopravvivere di un semplice filo di rame», concludeva magistralmente ancora Selvatici nel parlare di Alda Merini.