Il romanzo di Mauro Leonardi “Una giornata di Susanna” (Cooper, 2018) è una calata agli inferi. In quelli quotidiani e pensosi di una donna, Susanna, credente, che si trova, dopo anni di matrimonio e due figli, un marito “distante” e un amante. L’amante però è un uomo di fede, addirittura un vaticanista. Ha poi un’amica buddista che non capisce perché lei si cacci in tale casino. La prosa di Leonardi è diretta, sincopata, non solo per rendere incalzante una vicenda che è ricca di colpi di scena però dentro un teatro minimo di questioni familiari quotidiane, di gesti, di abitudini, a un tempo stesso stravolti interiormente ma non per questo meno nitidi e fatti di particolari che l’Autore sa cogliere con vivida attenzione e profondità.
La faccenda potrebbe sembrare semplice, le adultere piene di scrupoli sono un “tipo” di personaggio che in narrativa tira da un pezzo. Qui c’è pure l’ingombro di una fede che sembra complicare tutto, e anche di queste fedeli traditrici sono piene le pagine della novellistica italiana, da Boccaccio a D’Annunzio, fino più su ai nostri giorni, anche se, diminuendo l’attenzione alle donne di fede da parte della cultura dominante, se ne avvertiva un po’ la mancanza. Susanna, la protagonista, è una donna normale, moderna, però va a messa quasi tutte le mattine e ne vengono una serie di sentimenti che rendono il tutto al tempo stesso più complesso e surreale. Ci sono poi personaggi di contorno trattati con capacità di rilevo e finezza. E c’è il personaggio del marito, la cui taciturna rigida essenza svela i suoi occulti e terribili motivi nel corso della storia. L’amante, il vaticanista, Umberto è un buon diavolo a cui piacciono le donne e che infine si rivela forse il più “intelligente” della situazione. Si sa, i peccati di incontinenza sono meno gravi di quelli che voglion giustificare tutto con la testa. In amore — come si vede anche nelle frequenti discussioni messe in scena dall’autore — la ragione non sta in chi trova parole e concetti più giusti, ma in chi “sta”, in chi rimane amando, soffrendo se serve, amando e restando, anche se fuori dagli schemi che la società imporrebbe o che le stesse storie d’amore prevedono come un film già visto.
Storia di profonda e animata umanità, questa di Leonardi sa evitare pur mettendoli in scena tutti i luoghi comuni intorno a un’esperienza, l’amore, che è al tempo stesso comune e personalissima. Roma fa da teatro immenso, ben ritratto, a questa piccola profonda vicenda familiare. Se ne sorprendono luoghi comuni contemporanei, scorci eterni, piccole e grandi frenesie quotidiane, passando per diverse generazioni, mostrando da parte dell’autore una frequentazione diretta di vari tipi umani e età.
Non è certo un romanzo a tesi, anzi sorprendente per molti aspetti, ed è un parlare di famiglia libero e audace in un momento storico dove lo sclerotizzarsi intorno a certi temi non serve alla vita di nessuno. Battono in sottofondo le parole sull’amore di autori verticalissimi e antichi. Forse anche per questo, la prosa di Leonardi è stilisticamente asciutta, diretta, quasi sincopata e per così dire quasi propensa a potersi rompere talora in versi o qualcosa di simile, come accade nel finale. Forse perché d’amore, alla fine e dentro tutti i tipi di storie, non si può parlare che poeticamente.
Un romanzo per famiglie cattoliche? Dio ce ne scampi! e l’autore ce ne scampa infatti, non perché non sappia descrivere pur con rapidi tratti la condizione di molte famiglie formate da persone educate dalla fede e messe alla prova dalla vita e dalle scelte (uno dei momenti più alti è certamente la lettera del padre, la sua ammissione feroce e terribile), piuttosto perché la tensione che anima il racconto circa la possibilità, anzi le possibilità dell’amore riguarda tutti. Perché tutti l’amore scuote, e muove. E parlarne, senza fingere, è vita dell’anima.