La sequenza finale è la più struggente: Michelangelo Antonioni esce dalla chiesa rimasta deserta, dirigendosi nel cono di luce che entra dalla porta rimasta aperta. In sottofondo, un coro di Pierluigi da Palestrina. Siamo nella basilica di San Pietro in Vincoli a Roma. L’anno è il 2003. Quell’uscita di scena sarebbe stata un’uscita di scena reale: Antonioni dopo quella sequenza non avrebbe più girato altri film. Il regista da anni era stato colpito da un ictus, che lo aveva privato della parola e anche della possibilità di camminare: quindi per quella scena finale aveva fatto ricorso ad una controfigura. Ma per il resto del film aveva voluto esserci lui, in carne ed ossa, con tutte le ferite che si portava dentro.
Perché Antonioni era in quella chiesa? Perché aveva voluto girare un cortometraggio su un’opera del suo grande omonimo: Michelangelo. A San Pietro in Vincoli è custodito infatti il progetto più faticoso e laborioso della storia del Buonarroti, la tomba di papa Giulio II, dominata dalla straordinaria statua del Mosè. Il titolo del breve film (17 minuti), “Lo sguardo di Michelangelo” gioca sulla doppia valenza: è lo sguardo del Mosè su Antonioni, ma è anche lo sguardo del regista su quel capolavoro.
Perché torniamo a parlare di questo video? Perché in questi mesi, grazie ad un progetto realizzato da Casa Testori, viene proiettato negli spazi di grande suggestione della cripta c. La Cripta è una sorta di epicentro di Milano, sorge infatti nel punto dove s’incrociavano cardo e decumano nella Milano romana e venne ribattezza da Leonardo il “mezzo” della città. Poi, dopo il mille, per volontà dell’arcivescovo Anselmo fu consacrata al culto del Santo Sepolcro, che è stato ricostruito sulle misure di quello di Gerusalemme, e al quale fu particolarmente legato san Carlo Borromeo. Oggi la cripta è in restauro, ma i lavori non impediscono la possibilità di visitarla e di incrociare lo sguardo dei due Michelangeli. Inoltre all’ingresso sono esposte due spettacolari immagini del Mosè di un grande fotografo come Aurelio Amendola.
Tornando ad Antonioni, lo vediamo avvicinarsi al Mosè sia con la videocamera sia, fisicamente, con le sue mani. Lui infatti accarezza la scultura, con le dita si insinua tra le pieghe del marmo, come a trovare un contatto con il misero di tanta bellezza. È un gesto di una delicatezza commovente, come se un uomo arrivato alla fine della sua vita cercasse di fare esperienza con la dolcezza del mistero. Il racconto della nascita di quest’opera è molto significativa. Lo ha ricordato Enrica Fico Antonioni, moglie del regista (oltre che sua voce in quegli anni, visto che l’ictus aveva colpito anche quella facoltà). “Lo sguardo di Michelangelo documenta la volontà artistica di Michelangelo. Di fare questo film nella sua semplicità assoluta. In mezzo alle idee complicate, elaborate che proponevamo io e Carlo (Carlo Di Carlo, regista e uno dei maggiori conoscitori del cinema di Antonioni, nda), Michelangelo ha indicato con sicurezza la strada di un’essenzialità che a lui era chiarissima. Guardare e farsi guardare”.
Per cui Enrica Fico suggeriva una modalità per mettersi davanti a questo film: “Vi invito a cogliere quel momento accanto a lui, guardare, respirare, essere lì con lui davanti al Mosè”. Gli ambienti silenziosi e così carichi di tempo della Cripta di San Sepolcro sono perfetti per vivere un’esperienza così.