Molti anni fa, parlando di una persona conosciuta da entrambi, don Giussani mi disse: “La tenerezza non è solo un fiore, è un tronco”. Ho spesso ripensato a quella frase un po’ sconcertante e spesso ne ho ammesso per esperienza personale la saggezza nascosta sotto la forma poetica con cui egli amava esprimersi.
E così, ai tanti che rimangono delusi dalla durezza con cui Beatrice accoglie Dante alla fine di un viaggio impegnativo per la fatica del cammino e della pietà, posso rendere ragione alla luce di quella frase che l’atteggiamento di Beatrice è proprio quella della donna che ama e che perciò non tace, quando è il momento.
Così la madre al figlio par superba,
com’ella parve a me, perché d’amaro
sent’il sapor della pietade acerba.
La tenerezza della madre, non la gelosia dell’innamorata indica agli angeli, non a Dante direttamente, in che cosa sia consistito il suo smarrimento:
Alcun tempo il sostenni col mio volto
mostrando li occhi giovinetti a lui,
meco il menava in dritta parte volto.
Ma quando ella morì, sulla soglia della giovinezza, lui si dedicò a un’altra bellezza
e volse i passi suoi per via non vera
imagini di ben seguendo false,
che nulla promission rendono intera.
La tenerezza ha a che fare con la verità, con ciò che compie il desiderio umano, non certo con l’ambiguità che presto o tardi delude. A volte accade nella vita di rimpiangere di aver taciuto a qualcuno l’impressione di uno sbandamento, anche senza prove certe, per ritegno, per timore di offendere o di sbagliare. Ma poi inesorabile la vita palesa come una piccola, apparente innocua deviazione si muta in una distanza in cui non è più possibile parlare. Allora si è costretti a tacere, almeno finché la vita si concluda su questa terra e venga rinnovata, non sappiamo come, dopo la morte.
Gli anziani talvolta sono pieni di tenerezza, come quando accettano un dono trattenendo la loro commozione. Carlo Betocchi è un esempio raro per come esprime, da vecchio, la sua gratitudine verso la vita.
Non ho più che lo stento di una vita
che sta passando, e perduto il suo fiore
mette spine e non foglie, e a malapena
respira. Eppure, senza acredine.
C’è quell’amore nascosto, in me,
quanto più miserevole pudico,
quel sentore di terra, che resiste,
come nei campi spogli:
una ricchezza creata, non mia, inestinguibile.
La figura che più incarna la tenerezza senile è quella del vecchio Simeone, che accoglie nel tempio Gesù e i suoi genitori. Aveva aspettato tutta la vita la consolazione di Israele ed ecco la riconosce in un bambino. Non è difficile immaginare le braccia stanche che avvolgono il piccolo, il sorriso presago della vita eterna. Quanto alle parole, il Vangelo le ha custodite e la Chiesa le ripete ogni sera.
Ora lascia che il tuo servo, Signore
vada in pace secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele.
E insieme, poiché la tenerezza è un tronco, non risparmia a Maria la profezia della croce. E intanto, un’altra voce si associa alla sua, anche se non sono state tramandate le sue parole: la voce di Anna, l’anziana vedova che non lasciava mai il tempio e che, proprio come tutte le nonne e le vecchie parenti di ogni bimbo, non fa che parlare di lui. Un insolito tocco di sapore popolare ingentilisce una pagina che riassume la secolare attesa di Israele.